Digeribilità pizza ed indice glicemico

Domanda

Salve Dott. ssa Lauri, ho frequentato recentemente un corso per pizzaioli dove la tecnica di lavorazione usata (freddo, lunga maturazione fino a 96 ore e rigenerazione periodica degli impasti) si dice permettesse di ottenere una pizza ad alta digeribilità, per via della scomposizione dell’ amido complesso in zuccheri più semplici per l’ azione meccanica della rigenerazione e per tutte le altre trasformazioni dovute alla lunga maturazione. Le chiedo innanzi tutto se è corretto che una maturazione dell’ impasto fino a 96 ore renda il prodotto da forno effettivamente più digeribile per via della scomposizione degli amidi e degli altri macronutrienti e, se confermata questa tesi, le chiedo se l’ alta digeribilità di tale prodotto possa fornire all’ organismo zuccheri troppo velocemente disponibili ad alto indice/carico glicemico, con le conseguenze negative che questa evenienza si dice possa comportare . Grazie.

Risposta

Buongiorno a lei. Questo è un discorso molto complesso, quasi mai è trattato con dovizia di particolari e molto spesso confuso. La scomposizione della totalità della percentuale di amido presente in uno sfarinato avviene unicamente dopo aver raggiunto la temperatura di transizione vetrosa o temperatura di gelatinizzazione, variabile da sfarinato a sfarinato. Mediamente per il frumento è intorno ai 70°C. Solo a questo punto, i granuli di amido interi, cambiano la loro struttura nativa ordinata, assorbono acqua, si gonfiano e sono attaccabili dal complesso delle idrolasi nella fattispecie alfa e beta amilasi. Se non si raggiungono tali temperature, la scomposione enzimatica della molecola è impossibile a meno che i granuli non siano stati rotti dal processo della macinazione. La parte rotta dal processo molitorio arriva al massimo al 10% della totalità dell'amido presente per cui solo questa parte, alla temperatura di lavorazione, sarà attaccabile dalle amilasi endogene e produrrà zuccheri fermentescibili e non. Il discorso della digeribilità di una pizza e dell'IG è molto complesso soprattutto perchè quest'ultimo deve tener conto di diversi fattori tra i quali: la grandezza dei granuli di amido, il tipo di sfarinato (avena, segale, ecc.), grado di abburattamento e la varietà usata, il rapporto Amilosio/amilopectina, la metodica di lavoro adottata (indiretta con madre), ecc., per quanto riguarda il solo impasto. A questo va aggiunto il discorso, che nessuno fa, relativo agli ingredienti usati per la farcitura (patatine fritte, ecc.), le temperature e il tempo di cottura, ecc. Le lavorazioni lunghe permettono a tutti gli enzimi (protesi, amilasi, lipasi, pentosanasi ecc.) endogeni ed eventualmenti esogeni, aggiunti semplicemente con il malto, di operare la loro azione sulla struttura dell'impasto, rendendolo più lavorabile da un punto di vista tecnico in funzione dell'azione enzimatica per scomposizione delle macromolecole; l'azione sulle proteine porta alla formazione peptidi più piccoli, ecc. La lavorazione poi con la madre e il consumo di questi prodotti porta a un rallentamento dello svuotamento gastrico con azione indiretta su IG ( uno dei tanti articoli http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0733521009000307).  E' chiaro che le lunghe maturazioni diventano una esigenza nel momento in cui si lavorano farine con W oltre i 450 che darebbero pessimi risultati se lavorate in tempi brevi, oltrettuto la maggior parte sono additivate di glutine secco per raggiungere certi valori di W. La maggior parte dell'esigenza di operare maturazioni lunghe nasce proprio dal fatto di lavorare farine con queste caratteristiche tecniche. Ottimi risultati si possono ottenere con farine di W notevolmente inferiori per tempi più corti. Spero di essere stata abbastanza chiara. Un saluto cordiale e a disposizione.