La maturazione della pasta aiuta la digeribilità

Domanda

Buonasera Dottoressa volevo chiederle, dato che alcuni tecnologi negli ultimi tempi asseriscono che la maturazione dell'impasto per pizza in termini di digeribilità è una legenda metropolitana in quanto gli amidi influiscono solo al 10% e il glutine al massimo il 15% nei rispettivi processi enzimatici proteolitici e amilolitici e che la digestione è solo un fatto di farcitura, cosa ne pensa lei in merito. Grazie per la sua cortese risposta.

Risposta

Buongiorno a lei. Le rispondo da tecnologo non da nutrizionista (già è difficile fare bene il tecnologo alimentare OTA figuriamoci se mi metto ad invadere un campo che non è il mio.) Dal mio personale punto di vista le problematiche devono essere viste sotto tre aspetti imprescindibili gli uni dagli altri:

1. La preparazione dell'impasto e di conseguenza tutte le tecniche/metodiche per migliorare la "maturazione" della massa, la scelta dello sfarinato in termini di W e P/l in funzione del tempo a disposizione, le reazioni di degradazioni delle macromolecole, antinutrienti, lectine, produzione di aminoacidi,  ecc.

2. Metodica di cottura e temperature che si raggiungono sia in superficie sia all'interno.

3. Farcitura.

 

3. Parto pertanto dall'ultimo punto perché è il più intuibile da un punto di vista nutrizionale. E' chiaro e lapalissiano che una: salsiccia, scamorza affumica, doppia mozzarella, speck, ventresca, cipolle magari con una abbondante fonduta di gorgonzola o Stilton, abbinata a cavoletti di Bruxelles fritti ecc. (è solo un esempio per spiegare un concetto!), presenti delle problematiche di digeribilità maggiore di una quattro stagioni. E' intuibile che gli errori più comuni tra tutti i pizzaioli siano proprio quelli di eccedere non solo con gli ingredienti della farcitura, ma con un loro errato abbinamento. 

2 La metodica di cottura è basilare. Uno degli errori più comuni è quello di cuocere a temperature 350°C  (450°C per la STG) per pochissimi minuti creando una differenza importante tra la temperatura sulla superficie e quella a cuore. Una pizza mal cotta "cruda in mezzo" crea i ben noti problemi di pesantezza, ecc., di cui ricordo e ribadisco il lievito NON centra nulla, ma la cui causa va ricercata tra le lectine, fruttani, i FODMAP ecc.! Se a cuore non si raggiunge la temperatura di transizione vetrosa a fatica si forma la salda d'amido, ma il problema è molto più grave in quando, in questo caso, il nostro complesso enzimatico riceve un carico di carboidrati imponente che non hanno subìto alcun pre attacco da parte delle amilasi naturalmente presenti negli sfarinati, che ricordo continuano a lavorare fino a quando non si disattivano per effetto termico (80 - 90°C a cuore) . E' chiaro che mi riferisco alla percentuale del circa 89 - 90% di granuli di amidi che restano interi in quanto sono questi che entrano in gioco nella fase finale della cottura (la macinazione danneggia/rompe circa 9 - 11% della totalità dell'amido) perchè gli zuccheri fermentescibili che derivano dagli amidi rotti sono metabolizzati dai microrganismi presenti nella massa. Un apporto cosi imponente di polisaccaridi amido "indigeriti", uniti magari a cruscami con fibre, lectine e pentosani non opportunamente lavorati, creano disbiosi intestinale, infiammazione, mal assorbimento, pesantezza, sete,  ecc.  La diagnosi a questo punto è però prettamente medica così come la terapia e i tecnologi, biologi, agrari, chimici ecc.  non possono e non devono intervenire con diagnosi che non spetta loro fare proprio perché non ne hanno la qualifica professionale. 

1. Prima di tutto occorre ricordare la percentuale di macronutrienti presenti nella farina, cosi come la diversità tra una cultivar e l'altra,  tra frumento duro, tenero, segale , riso ecc.,gli ingredienti utilizzati per la preparazione e la loro percentuale, la metodica di lavoro, ecc. Faccio un semplicissimo esempio con una tecnica che va tanto di moda; l'autolisi a caldo. Ora, il principio sul quale si fonda tale metodica di lavoro è quello di arrivare alla gelatinizzazione dell'amido senza disattivare le amilasi per accellerare il processo della fermentazione successiva, ecc. E' intuibile, a questo punto, cosa succede e quindi quale possa essere l'apporto di zuccheri riducenti di cui solo una parte sono metabolizzati, implicati nelle reazioni di Maillard ecc. che finiscono nel prodotto finito. Tornando alle metodiche di lavoro, la bibliografia scientifica, per quanto riguarda l'utilizzo della madre, è infinita cosi come l'azione dei lieviti che non è solamente rivolta agli zuccheri fermentescibili (che derivano da quella minima parte dei granuli di amido rotti), ma al metabolismo di aminoacidi come fonti di azoto, attività delle amilasi, maltasi, capacità riproduttiva, iterazioni simbiotiche con i LAB ecc. Il processo enzimatico che permette la rottura del legame peptidico in una sequenza di aminoacidi non interessa unicamente il glutine, ma tutte le proteine presenti e a sua volta è influenzato dalla temperatura, tempo, pH, TTA, idratazione ecc.. Se con il termine "maturazione" si intendono tutte le reazioni di idrolisi che si attivano per l'azione delle proteasi sul legame petidico, sulle amilasi sull'amido, lipasi lipidi, pentosanasi, xilanasi sui pentosani ecc., che si avviano per raggiungimento dei valori di optimum di pH, per azione diretta dei lieviti, LAB ecc. sugli aminoacidi in particolare sull'asparagina, cosi come la simbiosi/associazione stretta tra L. sanfranciscensis S. exiguus o tra L. plantarum e S. cerevisiae  a livello di produzione di sostanze metaboliche da parte delle due specie, oppure la produzione di acido lattico o di acetico che rallenta/prolunga il tempo di svuotamento gastrico,  la produzione di aminoacidi come precursori di aromi, la produzione di acidi tali da retrogradare l'amido ecc. ecc., SI, la maggior parte della letteratura scientifica afferma che aumentando il tempo di azione dei microrganismi, complessi enzimatici endogeni conosciuto in gergo tecnico come "maturazione", si ha un miglioramento delle proprietà nutrizionali, digeribilità compresa.  Ci sono anche studi come questo  https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/26202208 che però concludono con : The baking process reduces the digestibility of wheat gluten proteins, including those containing sequences active in celiac disease. Starch digestion affects the extent of protein digestion, probably because of gluten-starch complex formation during baking. Digestion studies using purified protein fractions alone are therefore not predictive of digestion in complex food matrices. Nella pizza si fa sempre obbligatoriamente riferimento all'importanza di questa fase "maturazione" (ribadisco termine improprio ma ormai nel linguaggio tecnico comune e che indica il riposo dell'impasto in  massa  o già stagliato a t.a. o a t.c. per 24 - 48 - 72 ore e più, prima della stesura e successiva cottura) cosi come esiste nel pane quando si fa riferimento alla fermentazione controllata nelle celle di fermalievitazione o quando si utilizza la biga stoccata per 24 - 48 - 72 ore. Chiaramente un pane realizzato con un diretto corto al 5 - 6% di lievito fresco, stoccato 30 minuti a +40°C cotto 10 minuti a 250°C presenta problematiche di digeribilità diverse rispetto allo stesso prodotto realizzato tutta biga o con madre a pari condizioni operative compresi i valori W e p/l della farina.   Lo stesso discorso vale per l'impasto pizza. Ricordo inoltre che nel pane, la sintomatologia nel consumatore è molto meno evidente perché, per rispettare il dogma del settore, la Legge 580/67, e non incorrere in verbali, i panificatori sono costretti a regolare molto bene temperatura/tempo di cottura in base alla pezzatura, permettendo di raggiungere a cuore temperature che molto spesso non si raggiungono nella pizza seppur sia uno strato sottile (disco) di pasta; i due prodotti quindi non si possono assolutamente paragonare. Così facendo non si incorre nei problemi sopra descritti proprio perché a cuore del pane si raggiunge la temperatura di transizione vetrosa. Grazie a lei e buona giornata.