Maturazione impasti con diverse farine

Domanda

Gentile dott.ssa Lauri, consideriamo due impasti. Nel primo si utilizza una farina debole e, con una certa quantità di lievito e ad una certa temperatura, si porta la lievitazione a coincidere con la maturazione. Nel secondo impasto invece si utilizza una farina forte, ma rispetto al primo impasto, si riduce la quantità di lievito e la temperatura (ad es. 4°C) e si allungano i tempi di lievitazione/maturazione a 24, 48 e 72 ore in modo che l'amilolisi e la proteolisi possano completarsi. In cosa si differenzieranno qualitativamente i due impasti al termine della lievitazione/maturazione? Grazie della disponibilità.

Risposta

Buongiorno a lei. Il problema attuale di tutti i pizzaioli è quello di fare a gara a chi fa "maturare"l'impasto  per più tempo. Questa gara porta a "chiedere" farine in grado di supportare questa lungaggine folle ed esagerata e arrivando addirittura a chiedere circa 500W (neanche fosse l'ultimo modello di autoveicolo!) e pertanto davanti a tale richiesta assurda, ecco ...lo sfarinato "magico", creato apposta per l'occasione! Della W naturale di partenza di quella/e cultivar però, a quel punto, non c'è più nulla. Il problema è che ogni farina si comporta diversamente proprio perché ha determinate e ben specifiche caratteristiche reologiche date dal naturale rapporto gliadine/glutenine ecc.specifico della varietà e/o delle cultivar miscelate tra loro da parte del mugnaio per ottenere lo sfarinato finale dalle caratteristiche reologiche ben definite. Chiaramente, essendo una matrice vegetale e costantemente soggetta a modifiche naturali (clima, concimazione, cultivar, ecc.), non ci si può riferire alle analisi riportate sulle schede tecniche pubblicate su internet ed eseguite su campioni differenti, magari uno/due anni prima o per lo meno questi valori devono essere presi solo come parametri molto, molto, molto indicativi proprio perché non eseguite sul lotto in consegna.  Più una farina ha valori di S e W (massimo 350!!!) elevati, purché 0,40<P/L<0,60, più è in grado di sopportare tempi lunghi di impastamento, lavorazione, fermentazione ecc. Si possono ottenere gli stessi risultati lavorando una 220<W<250 per tempi corti o una 300<W<330 per tempi di 48 ore a parità di concentrazione di sale, lievito, zucchero, ecc. e/o parametri come temperatura ecc. Non c'è differenza, l'importante è avere la consapevolezza di quello che si sta facendo in termini di temperature, tempi, ecc. La maggior parte dei pizzaioli lavora con farine che possiedono proprietà reologiche non adeguate ai tempi/temperature di lavoro per cui, molto spesso, il prodotto è gommoso, tenace e l'impasto non si "sfibra" o è "rigido". In base alle ore totali della lavorazione, si dovrà scegliere obbligatoriamente una farina con caratteristiche adeguate.  In termini di risultati, a parità di parametri operativi, si possono ottenere due prodotti ottimi in entrambi i casi.  Sfatiamo il mito ... più è lunga la lavorazione, migliore è il risultato. Diciamo che buona parte dei pizzaioli non è abituata a lavorare con farine  medio/deboli in termini di W. Grazie per essersi rivolto al nostro servizio. Un saluto cordiale.