Puntata e appretto approccio scientifico

Domanda

Gentile dott.ssa Lauri, innanzitutto molti auguri di Buona Pasqua e tanti complimenti per la sua rubrica SOS, è davvero unica nel panorama web per chi come me non si accontenta di spiegazioni semplicistiche relative all’arte bianca. Vorrei che mi aiutasse a fare chiarezza su un argomento trattato poco (intendo dal punto di vista scientifico) nei libri e sul web, e cioè come la durata di puntata e appretto (e il loro reciproco rapporto) influenzano il prodotto finale in termini di risultato. Sono consapevole che ciò che accade all’impasto nelle due fasi è influenzato da tipo di farina, temperature, idratazione, tipo di lievito ecc., e che interviene anche un aspetto empirico legato all’esperienza, ma vorrei sapere se esistono delle linee guida generali (quindi valide sia per pane sia per pizza) per capire, in linea di massima, come scegliere la durata di una puntata e di un appretto in base al risultato che voglio ottenere. L’idea è quella, approcciandosi scientificamente anche a questo aspetto, di pensare e progettare un impasto sulla carta tenendo conto anche delle variabili di puntata e appretto (come già tutti noi facciamo per W, idratazione ecc. ecc., ), scegliendo in anticipo le tempistiche (salvo poi naturalmente correggerle eventualmente all’atto pratico come noi “impastatori” siamo soliti fare). Grazie infinite per la gentilezza.

Risposta

Buongiorno a lei, mi scusi ma è molto difficoltoso e lungo rispondere a questo quesito per email o post. L'argomento l'ho trattato nel mio testo Pane e pizza due mondi un'unica passione (2012) FIP nel Mondo, Messina. In ogni modo, certo che ci sono delle linee guida e dipendono da quello che vuole realizzare e non dall'empiricità. In termini molto semplicistici; ogni impasto (in questo caso mi riferisco al pane) in base alla tipologia di pane (crocetta, pasta dura, soffiato o pasta molle, ecc.) ha una differente % di acqua aggiunta, % di lievito fresco, metodica di lavoro usata, temperatura di fine impasto, temperatura e tempi di prima puntata  in base alla "forza" che devo impartire, alla dimensione degli alveoli, alla struttura della mollica, alla idratazione dei componenti strutturali la farina, alla lavorazione manuale o meccanica, ecc. Mi spiego meglio: un impasto realizzato con il 44 - 45% di acqua, deve avere una temperatura a fine impasto di 22 - 23°C, non richiede riposi in massa, ma deve essere lavorato immediatamente perchè il riposo aumenterebbe la forza della struttura già abbastanza tenace con conseguenti problemi successivi  (strappi o non avvolgitura) durante il passaggio nella chifferatrice, coppiatrice, avvolgitrice, ecc. In caso contrario un impasto molle con temperatura di fine impasto più elevata, deve subire un riposo in massa di minimo 1 ora, per ottimizzare la crescita e il metabolismo microbico e renderlo "lavorabile" in termini di elasticità ed estensibilità. Non richiede un passaggio meccanico di avvolgitura se non a cilindri molto aperti (massimo 65% di acqua aggiunta), ma  al massimo un taglio usando il gruppo spezza-ciabatta. Per la pizza, i concetti teorici e scientifici non cambiano assolutamente, perché  gli impasti della classica (circa 65% di acqua aggiunta che ricordo non essere l'idratazione finale) teglia o pala (oltre 70% di acqua aggiunta) rientrano nella specifica degli impasti "bastardi" o "molli" della panificazione; non sono assolutamente differenti. Anche in questo caso il concetto è lo stesso con l'unica differenza per la % di lievito e la fase di stoccaggio a +4°C. La variabilità legata alla "personalizzazione" individuale deve essere comunque ridotta al minimo o annullata proprio per evitare l'approccio casuale e non scientifico. La libera interpretazione deve essere evitata il più possibile; è ammessa solo qualche rara volta e solo quando insorgono eventi casuali. A quel punto interviene l'esperienza e solo quella.  Spero di essere stata abbastanza chiara e nel ringraziarla per aver usufruito del nostro servizio, le invio i miei più cordiali saluti.