Sostanze antinutrizionali e tecnica dell'autolisi.

Domanda

Salve Dott.ssa Lauri, approfittando della sua disponibilità e delle sue conoscenze, avrei una domanda un pò particolare da porle. Partendo dal fatto che negli strati esterni dei cereali si trovano le sostanze antinutrizionali (fitati e tannini) e che per distruggere tali sostanze ed aumentare il valore biologico dell'alimento sarebbe necessario adottare metodi indiretti che aiutano a creare una buona acidità nell'impasto. Mi chiedevo: cosa accade in un'impasto fatto con la tecnica dell'idrolisi degli amidi (o pre gelatinizzazione degli amidi) usando grano spezzato che essendo molto grezzo penso sia pieno di sostanze antinutrizionali? Si ottiene un prodotto scarso a livello nutrizionale? Quali accorgimenti dovrebbero utilizzarsi magari per aumentare l'acidità fermorestando tale metodologia, grazie. Cordiali saluti

Risposta

Buongiorno a lei. Prima di tutto la tecnica dell'autolisi a caldo è fatta con lo scopo di rendere disponibile e facilmente attaccabile dalle amilasi (sempre se non si va oltre la temperatura di disattivazione delle stesse!) l'amido intero, raggiungendo la temperatura di transizione vetrosa. Nella fattispecie i granuli di amido interi, a questa temperatura si gonfiano, perdono la loro struttura ordinata, cambiano lo stato fisico e possono subire l'attacco delle amilasi. In caso contrario, alla temperatura del processo tecnologico, non avrebbero importanza/implicazione se non durante la cottura. Questa tecnica di lavoro è adottata con lo scopo di fornire zuccheri fermentescibili e non all'impasto, ma non con la finalità di disattivare gli antinutrienti in quando non ci sono le condizioni chimiche per la disattivazione. Anzi,  alla temperatura di transizione vetrosa, tipica di ogni cereale ed obbiettivo della metodica con autolisi a caldo, è stato riscontrato una disattivazione del 70 - 80% dell'attività enzimatica delle fitasi. E' l'attivazione di questo enzima che permette la disattivazione dell'acido fitico e ciò avviene a temperatura comprese tra i 30 e i 50 gradi Celsius e non oltre come da tale tecnica. Approfondendo il discorso, da un punto di vista biochimico – nutrizionale, occorre sottolineare che l’acido fitico, (mio inositolo esafosfato) è il maggior componente degli alimenti di origine vegetale e rappresenta la principale fonte di fosforo in molti semi di piante, tuberi e radici. La struttura molecolare dell’acido fitico è quindi composta da uno zucchero il mio-inositolo al quale sono legati covalentemente sei gruppi fosfati. Circa il 75% del fosforo totale nei cereali e legumi è presente sotto forma di fitato, sale dell’acido fitico, non prontamente disponibile da parte dell’uomo; il restante 25% del fosforo è rappresentato dai fosfati inorganici solubili e dal fosforo presente all’interno delle cellule (DNA, RNA, proteine fosforilate, complessi zuccherini ecc.). Con il termine “fitina” invece s’indicano i suoi sali di calcio e magnesio. E’ presente come sale di cationi mono e bivalenti come potassio, calcio, magnesio, ecc., si accumula rapidamente nello strato aleuronico dei semi durante il periodo di maturazione ed è generalmente considerato la fonte primaria di riserva di zucchero (inositolo), fosforo, energia, regolatore del fosfato inorganico, minerali come calcio, ferro, magnesio, potassio, zinco dei semi, tuberi, radici ecc.  Per diventare però disponibile per le piante, il fosforo organico, complessato nella molecola, deve essere defosforilato. Il legame nei fitati è cosi forte che per essere scisso ha bisogno di un enzima, la fitasi, una fosfatasi acida che si trova anch’essa nei semi e si attiva con i processi di germinazione (presenza di acqua e ambiente acido) liberando i legami e degradando l’acido fitico (defosforilazione).In un’ottica nutrizionale umana l’azione delle fitasi è fondamentale perché, se da una parte il loro ruolo enzimatico è quello di fornire fosforo alla giovane plantula in germinazione, dall’altro riduce drasticamente l’azione antinutriente dell’acido fitico.  Da un punto di vista prettamente biochimico, l’acido fitico ha un effetto anti nutrizionale dovuto alla sua struttura molecolare in cui, in completa dissociazione, i sei gruppi fosfato portano a un totale di dodici cariche negative in grado di legare vari cationi mono, di e trivalenti formando complessi insolubili contenenti soprattutto: potassio, magnesio, calcio, zinco, ferro o rame.  Oltre a complessarsi con minerali e proteine l’acido fitico interagisce con enzimi come la tripsina, pepsina, alfa - amilasi e galattosidasi, determinando una diminuzione della loro attività digestiva. Tornando quindi al suo quesito iniziale, le rispondo che per attivare le fitasi endogene, presenti nei semi, occorre che si verifichino condizioni di temperatura tra i 30 e i 50°C massimo e pH circa 5.Tali condizioni di pH e di temperatura (30°C optimum di temperatura di fermentazione) si verificano con una lavorazione indiretta molto lunga con biga, poolish, pasta di riporto o madre; ancora meglio se, a tali metodiche, si abbina una maturazione di 24 – 48 – 62 ore. Le fitasi si attivano anche a pH 6 e sono contenute anche nei blastomiceti, l’importante è operare sempre una metodica indiretta molto lunga e una lunga maturazione.  Grazie a lei