Hai un problema tecnico di produzione nel settore dell'arte bianca (pane, pizza, grandi lievitati, prodotti da forno in generale)? Il tuo prodotto ha un difetto? Hai bisogno di consigli? Esponi il tuo problema e Simona Lauri ti risponderà nel più breve tempo possibile.
tempi maturazione farine per pane casereccio
Buongiorno gentile Simona,
è da poco che ho scoperto questo favoloso mondo dei lievitati e devo dire che anche la passione lievita ogni giorno come purtroppo la confusione! Forum, libri, articoli vari, tele santoni…sento tutto e il contrario di tutto, ma col tempo sto imparando a selezionare le informazioni. Ho appena acquistato i segreti di un’arte e spero di chiarirmi un po’ di dubbi…nel mentre però ne approfitto (!) chiedendole se può darmi delle indicazioni per l’utilizzo al meglio delle farine che attualmente utilizzo, con le seguenti caratteristiche:
tipo 0 w 250 pl 0,5-0,6 stabilità maggiore di 10 min.;
tipo 0 w190-210 pl 0,5-0,6 stabilità maggiore di 5 min;
tipo 1 w 180-200 pl 0,4-0,55 stabilità maggiore di 10 min;
tipo 2 verna
Solitamente parto da una biga con ldb fresco a 20 ore preparata con una farina w 350-370 pl 0,5-0,6 (su 1 kg di farina totale degli ingredienti ne utilizzo 300 grammi per la biga) alla quale aggiungo una delle farine che le ho elencato (per verna e tipo 1 prima ½ ora di autolisi), acqua per una idratazione complessiva dal 57% al 60% , lo 0,5%/massimo 1% di sale e un cucchiaino di malto e impasto a mano. Cerco di terminare l’impasto a 24 gradi (utilizzo la formula della temperatura finale desiderata e moltiplicata x3 a cui si sottrae la temperatura della farina e dell’aria per arrivare a trovare la temperatura dell’acqua..è corretta? Per la biga invece utilizzo la sua formula del 55), circa un’ora di riposo a ta, quindi in frigo a +4. Dopo circa 12/16 ore tolgo dal frigo, 2 ore a ta, spezzatura, preforma, formatura e appretto di circa 3-4 ore a 26 gradi (forno con luce accesa). Le chiedo cortesemente un consiglio perché i risultati che ottengo sono ancora ben lontani dall’ottimale (spesso pani ancora un po’ umidi all’interno e crosta spessa) soprattutto sui tempi di puntata e di appretto ideali per le farine che utilizzo e con le modalità che ho provato a spiegare. Le chiedo inoltre la tecnica ideale di cottura in forno casalingo per il pane tipo toscano (temperatura, vapore si o meno..a volte leggo di infornare a 250 a volte a 180..) oltre al metodo ideale di lavorazione (io uso solo ldb) della farina verna che adoro. Da ultimo (promesso!) le chiedo se è possibile preparare una biga a 20 ore con farina integrale o tipo 1, 2 con valori di w 180-200. Glilo chiedo perché mi sembra di aver letto che consigli, qualora si volesse utilizzare farina integrale o grezza, di mettrela nella biga, ma non ho capito se in quel caso dovesse avere un w alto. La ringrazio.
Buongiorno a lei, mi scusi ma mi sono persa nelle innumerevoli domande le cui risposte richiederebbero ciascuna un post lungo tanto quanto la sua domanda iniziale. Mi scuserà pertanto se potrò rispondere solo ad alcuni quesiti. Prima di tutto non ho compreso quanto lievito mette nella biga e quanto nel rinfresco ma soprattutto non ho chiaro se su 1 Kg di farina totale ne usa 300 g nella biga e poi 700 g nel rinfresco. Perchè fa l'autolisi con il verna o con una della farine da lei citate? L'autolisi si fa con sfarinati aventi caratteristiche reologiche particolare e non mi sembra sia il suo caso e comunque perchè autolisi con la biga? A mio modesto parere la metodica è un misto (biga+ autolisi) e il tempo di lavoro è eccessivo per farine con quelle proprietà: riposo a temperatura ambiente + frigor + temperatura ambiente + pezzatura+ fermentazione a 26 gradi per 4 - 5 ore. Decida in partenza cosa fare e poi proceda: Se indiretto con biga utilizzi la biga, lb sulla farina aggiunta ecc., se ritiene di fare un 'autolisi perchè ha farine molto particolari (non il verna!) allora proceda con l'autolisi, ma non unisca lavorazioni che nascono con una scopo preciso e non casuale. Le farine integrali, cosi come la farina "verna", vanno bene per bighe di max 10 - 12 ore a 18 - 20°C . La farina con 350 - 370W è ottima per panettoni o per bighe di oltre 72 ore di stoccaggio: nel suo caso è sufficiente una 300 - 330W. Grazie a lei. Un saluto cordiale
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Gelatinizzazione degli amidi
Buongiorno dottoressa Lauri, la domanda che segue è in merito alla tecnica della gelatinizzazione degli amidi; ho notato che questo processo di, mi passi il termine, "impastamento" risulta più efficace con farine quali la segale bianca e/o integrale o con grano spezzato, a dispetto dell'utilizzo di farine tipo 00. Partendo dal presupposto di aver effettuato queste prove in ambiente non contaminato da lieviti, come funziona esattamente, chimicamente parlando, l'attivazione degli enzimi responsabili della successiva lievitazione di un impasto "senza lievito" e perché alcune farine sono più indicate di altre? La ringrazio qualora volesse rispondere.
Buongiorno a Lei. Prima di tutto la tecnica della gelatinizzazione degli amidi o "autolisi a caldo" non viene fatta con lo scopo di disattivare l'azione enzimatica delle amilasi, ma esattamente il contrario a meno che non sia fatta a temperature prossime all'ebollizione dell'acqua su farine particolari come appunto la farina di segale che necessita di una disattivazione enzimatica prima dell'utilizzo. Generalmente le temperature di un'autolisi a caldo sono decisamente più basse proprio per non disattivare le amilasi ma solamente per far si che i granuli di amido interi, presenti in tutti gli sfarinati, assorbano acqua e siano anch'essi soggetti all'azione della idrolasi (amilasi) in questo caso. Utilizzo degli zuccheri provenienti dai granuli di amido interi non sarebbe possibile alla temperatura di lavoro (20 - 30°C). Solo i granuli di amido rotti dal processo della molitura (circa 10%) possono assorbire acqua e essere soggetti all'azione amilasica. In parole più semplici l'autolisi a caldo permette ai granuli di amido interi di perdere la loro struttura cristallina intera, assorbire acqua, rigonfiarsi, incrementare la viscosità del sistema, rompersi e determinare la fuoriuscita e la parziale solubilizzazione del materiale amilaceo, favorire l'attacco enzimatico. Tale zuccheri saranno quindi metabolizzati dalla microflora presente (contaminante o aggiunta volontariamente) in competizione nutrizionale. L'autolisi a caldo, in teoria, può essere fatta su tutte le farine, cariossidi spezzate o intere, ma è la disattivazione enzimatiche che non può essere sempre fatta su tutte le farine. Solo determinate farine con un bassissimo falling number, oppure provenienti da cereali o pseudocereali particolari come segale, quinoa, ecc. necessitano anche di una azione enzimatica. Sfatiamo il mito della "moda" o di quello che vogliono farci credere o ancora peggio della tecnica che si fa sempre e comunque; non è cosi! Ha un suo preciso scopo tecnico scientifico ed è fattibile solo in determinate condizioni . Grazie e un saluto cordiale. Sempre a disposizione
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lievito si,lievito no o pane marcio ?
Salve Dr.sa Lauri,
ho letto ieri su un gruppo FB la sua risposta a chi chiedeva delucidazioni sulla moda dilagante di utilizzare bassissime percentuali di licoli (1%) negli impasti per pane,nelle innumerevoli discussioni sorte successivamente a questo Q/A è emerso anche il discorso di “pane che marcisce durante la lievitazione” ,che però nessuno ha saputo spiegare in cosa consiste esattamente e come accorgersi se ciò avviene, sa darmi qualche informazione in più?
Sempre in merito alla riduzione del lievito ,ultimamente ho letto di professionisti e non che stanno producendo impasti per pizza totalmente senza lievito utilizzando solamente farine particolari ,acqua molto calda e tempo ;
in questo caso ci sono gli stessi rischi da lei segnalati per il basso utilizzo di licoli o l’assenza totale di lievito elimina i suddetti rischi ?
Grazie
Buongiorno a lei. Mi dispiace se ho creato discussioni nel gruppo non era mia intenzione, in ogni caso sono a disposizione per rispondere ai vostri quesiti purchè inoltrati uno alla volta alla redazione. Un pane (inteso come prodotto, per definizione, dopo la cottura) tendenzialmente di grosse pezzature da 800 g in poi , può non svilupparsi in fermentazione e presentare dei cedimenti strutturali senza sviluppo di volume. Dopo cottura e tre/quattro ora dallo sfornamento, mostra un odore sgradevole e un mollica tendenzialemnte marrone chiaro non sempre un pò bavosa e filosa. A livello casalingo può dare l'impressione di un pane mal cotto, pesante e senza sviluppo. Questo succede quando prendono il sopravvento culture microbiche differenti dai lattici (1% di licoli sulla farina può presentare UFC/g molto basse e comunque con una produzione di anidride carbonica inferiore rispetto alle colture di S. cerevisiae) ma soprattutto dai blastomiceti e in forte competizione nutrizionale tra di loro. Per quanto riguarda il pane definito erroneamente "senza lievito" appunto è realizzato da professionisti in un locale altamente contaminato da spore di S. cerevisiae. L'ho definito senza lievito con le virgolette perchè, se in effetti il lievito S. cerevisiae non è stato aggiunto come ingrediente è comunque, fortemente presente in quanto contaminante sporigeno ambientale. La proliferazione dei blastomiceti all'interno della massa è accellerata dalla particolare situazione del "terreno - impasto" a loro disposizione. La tecnica da lei citata non riguarda farine particolari, ma è legata ai determinati valori di temperatura dell'acqua che vengono o meno raggiunti, quindi si avrà un sviluppo più o meno accellerato della stessa coltura microbica contaminante. Lo stoccaggio successivo a temperatura costante e la tempistica di 24 ore fa il resto. Spero di aver chiarito i vostri dubbi e resto a disposizione. Un saluto cordiale
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Maturazione e IG Impasti
Egregia Dottoressa, leggo con attenzione le Sue risposte,sempre interessanti. e desidererei un Suo parere su questo tema. E' corretto pensare che una giusta maturazione e lievitazione a temperature controllate (tra le 24 e 30 ore a 4/5°C e a 22 gradi) per farine con W intorno a 200 porti a una aumentata digeribilita' e notevole riduzione dell'indice glicemico per il lavoro dei batteri sugli amidi e degli enzimi sulle proteine e quindi dei lieviti sugli zuccheri semplici trasformati? La ringrazio Cordialmente
Buongiorno a lei, 200 W mi sembra un po' basso per una maturazione e fermentazione nelle tempistiche da lei descritta, poichè molto spesso a questi valori si abbina una bassa stabilità farinografica. Si è vero, più è lunga la maturazione della massa, maggiore sarà la digeribilità dell'impasto per la prolungata azione delle idrolasi endogene degli sfarinati. Tengo a precisare però che, l'azione enzimatica delle idrolasi in uno sfarinato avviene indipendentemente dalla presenza dei batteri e dei lieviti! Per quanto riguarda invece il suo quesito sull'IG vorrei precisare che non è cosi matematico come, può trasparire dal suo post. L'IG rappresenta la velocità con cui un alimento aumenta la glicemia in seguito all'assunzione di quello specifico alimento. Il valore dell'IG negli impasti è influenzato da molti fattori tra i quali: tipo e quantità di carboidrati, tipo di sfarinato, rapporto amilosio/amilopectina, stato fisico dell'amido, grandezza granuli di amido, metodo di lavoro adottato, presenza assenza di fibra e non ultimo l'azione degli stessi lattici. Per quanto riguarda questo ultimo punto tengo a precisare che studi recenti hanno dimostrato che l'azione dei lattici sull'IG di un impasto non è correlata al grado di idrolisi dell'amido, ma all'azione di rallentamento, esercitata degli acidi da essi prodotti, nello svuotamento gastrico. Tutto quello che lei ha descritto svolge un'azione sulla maturazione della massa quindi digeribilità della stessa, ma non sull'IG, almeno allo stato attuale degli studi scientifici dimostrati. Un saluto cordiale
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Farina Tipo OO
Buongiorno ho una domanda curiosa: in che anno nasce la farina Tipo OO? grazie per la risposta
Buongiorno a lei. La definizione legale di Farina di grano tenero Tipo OO compare per la prima volta nell'art.7 della Legge 580/67 preceduto dall'Art. 6 in cui si riportava la definizione di farina come ".. prodotto ottenuto dalla macinazione e conseguente abburattamento del grano tenero liberato dalle sostanze estranee e impurità". Se si riferisce invece a un concetto non legale, ma sociale e molto più ampio, senza ombra di dubbio, risale ai tempi dei greci e dei romani. In letteratura si legge che a quei tempi esistevano, sostanzialemnte tre tipi di pane: quello nero o dei poveri, quello bianco (di qualità leggermente superiore al primo) e il pane bianco di farina finissima o pane dei ricchi. Da questa prima classificazione, si deduce che conoscevano un primo rudimentale concetto di "grado di abburattamento" della farina (anche se ai poveri veniva dato più che altro lo sporco e quello che si raccoglieva) e che tale classificazione era soprattutto un modo per identificare una classe sociale da un'altra. Da qui poi si inserisce il discorso degli altri cereali utilizzati (farro, orzo, miglio ecc.), degli ingredienti differenti ecc. che però esula dal suo quesito iniziale. Un saluto cordiale e sempre a disposizione
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Alveolatura dei lievitati.
Dott.ssa Lauri buongiorno, sono un appassionato di grandi lievitati, cerco sempre di migliorarmi in quest'arte "magica". Le chiedo consiglio per migliorare l'alveolatura dei miei panettoni. La composizione dell'impasto t.q, prima di infornare è, mediamente, la seguente: farina forte 28/30%, Zucchero 11/12%, Tuorlo 9/10%, Burro anidro 9/10%, Lievito madre 30% della farina del 1° impasto (circa 60 g), Acqua 9/10%, Latte intero 6% circa e solo nel 1° impasto, Canditi 15%, uvetta 5%, Sciroppo di glucosio 1%, Sale 5% e bacca di vaniglia. L'ordine di aggiunta è: latte, acqua, tuorli, zucchero. Segue miscelazione, poi aggiungo il lievito madre e impasto per bene. A questo punto aggiungo la farina, aggiungo le restanti quantità di ingredienti e liquidi, incordo l'impasto e termino con l'aggiunta del burro anidro, segue lievitazione a 28/30 °C in cella di lievitazione artigianale. Ad impasto triplicato (circa 10 ore) proseguo con la formazione del 2° impasto aggiungendo le restanti quantità di farina, acqua, tuorlo, zucchero, sciroppo di glucosio, burro, sale. Incordo e procedo con i canditi e l'uvetta. Quindi puntatura a t.a. per non meno di un'ora e, non di rado, fin quasi due ore. Procedo con la 2a lievitazione per circa 5 ore. Dopo di che la cottura la effettuo a 200 °C per 15 minuti con accesa la sola resistenza inferiore del forno, e completo a 180 °C con entrambe le resistenze accese per circa 40 minuti. Dott.ssa mi scusi se mi sono dilungato, ma ci tengo particolarmente ai lievitati. La ringrazio anticipatamente e le auguro buona giornata.
Buongiorno a lei e grazie per il suo quesito. Generalmente non si parte dai liquidi, ma dai solidi sempre e comunque. L'ordine d'introduzione degli ingredienti nei panettoni, in linea di massima è: acqua (latte) 28- 30°C malto in pasta e zucchero. Successivamente farina, madre e molto lentamente uova (tuorli) e burro morbido. Impastare fino al raggiungimento di un impasto liscio ed incordato. Per il secondo impasto invece: tutto il primo, farina, miele e zucchero. Lentamente poi sale, tuorli, burro e gli altri ingredienti mancanti. Per quanto riguarda invece l'alveolatura dei suoi panettoni (non vedendo), mi scusi, ma per email è un pochino difficile rispondere. Spero di esserle stata di aiuto. Un saluto cordiale e sempre a disposizione
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Farine
C'è chi afferma che le farine biologiche in realtà non lo sono e chi assolutamente ci crede. Nel dubbio, io acquisto biologico, ma con oculatezza. Insomma, ora trovo farine biologiche ad 1,2 euro al chilo anche negli ipermercati, quindi perché no? Qual è la sua opinione sulle farine e i prodotti biologici in genere? Farina e uova hanno costi bassi, ma sulla carne, ad esempio, la differenza incide ben di più. La differenza vale il beneficio?
Buongiorno a lei. Personalmente al discorso generico del biologico, senza particolare riferimento a nessun settore, ci credo molto poco. Credo molto di più al biodinamico. Deve essere chiaro a tutti però che con la parola "biologico" non si intende assenza totale di principio attivo sia sui campi, colture e prodotti finiti, ma solo che sono usati principi attivi differenti da quelli utilizzati nell'agricoltura tradizionale.A mio modestissimo parare è molto una moda e diventa un business quando la domanda supera l'offerta. Torno a ripetere, il mio è un discorsdo molto in generale. Nell'ambito delle farine, grani ecc.,(la sua domanda è riferita a questo settore in particolare) ci sono ottime aziende piccole e medio piccole che operano un biologico estremamente garantito e rappresentano un vanto per il settore. Grazie a lei. Un saluto cordiale
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Temperatura impasto
Gentile dottoressa, una ricetta che seguo, prevede l'impasto di una biga con l'aggiunta del 10% di farina e circa il 20/25% di acqua (sulla farina della biga). Il mio pane riesce bene, ma non riesco a raggiungere la temperatura finale di 28 gradi richiesta dalla ricetta. Il mio piccolo impasto infatti non si scalda affatto durante la lavorazione e l'unico modo di ottenere quella temperatura sarebbe riscaldare l'acqua fino a circa 70 gradi (dal momento che parto da una biga che ne ha al massimo 20). Le chiedo quindi, fino a quale temperatura è possibile utilizzare l'acqua aggiunta? Una temperatura inferiore dell'impasto può dainnneggiare il successivo processo di lievitazione e il risultato finale ? Grazie per la risposta.
Buongiorno a lei. Mi scusi ma non riesco a comprendere nè la ricetta che segue nè il suo quesito. Se impasta utilizzando una impastatrice meccanica, per gli attriti e la resistenza che l'impasto (massa) incontra contro gli organi in movimento (gancio, frusta, foglia ecc.) della stessa impastrice e per le leggi della meccanica e della fisica, l'impasto si scalda. Ora, il riscaldamento è appunto funzione degli attriti i quali, a loro volta, sono funzione della massa (in termini di quantità), della sua viscosità, della velocità con la quale ruota l'impastatrice, del tipo di impastatrice (spirale, braccia tuffanti, forcella) della forma del gancio ecc. Non è corretto dire che l'impasto non si scalda, diciamo piuttosto che, in determinate situazioni, il riscaldamento potrebbe essere trascurabile rispetto ad altri parametri oppure si opera volutamente in modo che tali "attriti" siano ridotti il più possibile. Potrebbe cortesemente riportare nel dettaglio la ricetta che segue in modo che la possa aiutare nel migliore dei modi e rispondere con correttezza al suo quesito? In ogni caso, quando la temperatura è inferiore (non negativa!), non si danneggia nulla, al massimo si rallenta l'attività metabolica. La ringrazio poer la sua gentilezza. Un saluto cordiale e a disposizione
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Maturazione degli impasti
Buongiorno Dottoressa, volevo una delucidazione sulle maturazione degli impasti pizza. Esiste una formula per calcolare i tempi di maturazione? Quali fattori occorre tener conto: della percentuale di glutine, dell'indice di caduta, ecc.? Grazie a lei
Buongiorno a lei. Non c'è una formula matematica che permetta di calcolare i tempi esatti per la maturazione degli impasti. Il tempo in giorni /ore, durante il quale in un impasto si avviamo i complessi meccanismi biochimici alla base della fase conosciuta con il termine di maturazione è funzione delle sole caratteristiche reologiche dello stesso impasto. Un impasto con W di circa 350 e valori di stabilità maggiori di 10 minuti, avrà le caratteritiche per sopportare anche tre/quattro/cinque giorni di maturazione rispetto ad un impasto realizzato con una farina con caratteristiche reologiche simili a W circa 220 e stabilità 3 minuti circa. In particolare il valore della W di una farina è in funzione della quantità e qualità delle proteine insolubili presenti e della loro capacità a resistere a stress meccanici e tempi lunghi di maturazione o fermentazione. In linea di massima quindi più una farina è definita forte 350<W<380, 0.40<P/L<0.60, falling number circa 250 sec e stabilità > 10 min, più le garantirà una tempista maggiore in termini di maturazione. Un saluto cordiale e sempre a disposizione.
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Digeribilità glutine
Gentile Dottoressa Lauri, è vero che un pane realizzato con farine con poco glutine è più digeribile rispetto a quello fatto con farine con più glutine?
Buongiorno a lei.
Posta cosi la domanda, in questi termini, direi che è molto opinabile, non è veritiera e abbastanza superficiale, scorretta e incompleta. Quando si parla di digeribilità di un alimento intervengono innumerevoli fattori, anche se l'alimento in questione è il pane. Prima di tutto la digestione di un alimento, in questo caso il pane, non si misura assolutamente solo sul parametro "glutine", ma è il risultato dell'interazione fra apparato digerente e caratteristiche nutrizionali dell'alimento stesso. La parte non digerita dall'apparato digerente viene quindi eliminata con le feci. Nella fisiologia della nutrizione, il paramentro generico "digeribilità" è misurato somministrando una quantità nota del principio nutritivo, raccogliendo le feci prodotte e facendo i calcoli necessari. Questo porta alla valutazione del coefficiente di digeribilità variabile da alimento ad alimento e specifico per quella composizione nutrizionale. Senza addentrarmi in discorsi scientifici di fisiologia della nutrizione atti a dimostrare con dati scientifici la valutazione del coefficiente di digeribbilità, ritengo che la digeribilità di un alimento come il pane sia influenzata da altri paramentri molto più importanti e non si limiti assolutamente al solo glutine, come appunto: presenza di fibre solubili ed insolubili, tipologia di cereale utilizzato, rapporto amilosio/amilopectina, grandezza granuli di amido, metodo di lavoro utilizzato, tipologia di ingredienti utilizzati, composizione nutrizionale in termini quali/quantitativi dei principi nutritivi, composizione aminoacidica delle frazioni proteiche sia solubili sia insolubili, temperature e tempi di cottura, struttura granuli di amido, presenza di idrolasi, ecc. Spero di aver risposto esaurientemente al suo quesito. Un saluto cordiale
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Impastatrici a forcella
Buonasera, sono un pizzaiolo che la segue da non molto tempo, mi ha colpito il fatto che ha sconsigliato vivamente ad un collega di scegliere come nuova impastatrice una a forcella. Posso chiederle la ragione? grazie mille e arrivederci.
Buongiorno a Lei.Si certamente. L'impastatrice a forcella è una impastatrice molto lenta, ottima per le bighe e per tutti quegli impasti che non necessitano di essere riscaldati eccessivamente. Diciamo che il tempo necessario per impastare un impasto oltre il 50% di idratazione è abbastanza elevato e non è propriamente indicata per impasti ad elevata idratazione. La scelta è comunque strettamente personale in base alla tipologia di lavoro e di impasti che si devono realizzare. Un saluto cordiale e a disposizione
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Farina di grano duro. SOS!
Buongiorno dottoressa. Leggendo qua e là in vari siti, blog ecc., la semola rimacinata di grano duro viene spesso indicata come farina di grano duro e viceversa. Sbaglio o invece si tratta di due prodotti completamente diversi, adatto alla produzione di pasta e pane il primo e non adatto invece il secondo? Potrebbe gentilmente fare chiarezza? Avendola acquistata per errore, quali sono i suoi usi, e in quale percentuale posso usarla, e con quali altre farine, per cercare di ottenere un buon pane? Grazie.
Buongiorno a lei. Il DPR 187/2001 a questo proposito è chiaro, in particolare l'art. 2. cosi recita: " È denominato "semola di grano duro", o semplicemente "semola", il prodotto granulare a spigolo vivo ottenuto dalla macinazione e conseguente abburattamento del grano duro, liberato dalle sostanze estranee e dalle impurità. È denominato "semolato di grano duro", o semplicemente "semolato", il prodotto ottenuto dalla macinazione e conseguente abburattamento del grano duro liberato dalle sostanze estranee e dalle impurità, dopo l'estrazione della semola. È denominato "semola integrale di grano duro", o semplicemente "semola integrale", il prodotto granulare a spigolo vivo ottenuto direttamente dalla macinazione del grano duro liberato dalle sostanze estranee e dalle impurità. È denominato "farina di grano duro" il prodotto non granulare ottenuto dalla macinazione e conseguente abburattamento del grano duro liberato dalle sostanze estranee e dalle impurità.
... È consentita la produzione, da destinare esclusivamente alla panificazione ed al consumatore, di semola e di semolato rimacinati nonché di farina di grano duro..." Rispondo quindi al suo quesito dicendo che la semola è indicativamente usata nel settore della pastificazione perchè ha una granulometria superiore. Nel settore della panificazione può usare indistintamente tutti i prodotti sopraccitati. Può usare la semola rimacinata tal quale in purezza, a suo piacere, per i prodotti come pane, pizze ecc. Un saluto cordiuale e sempre a disposizione.
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Setacciamento e definizione di farina
Buongiorno Dott.ssa Lauri , sono un apprendista pasticcere e mi scuso se la domanda che sto per porle può risultare banale, ma sul web molte volte si legge di tutto e di piu' e specialmente chi è alle prime armi non è certamente in grado di valutare se le notizie siano vero o no. Perché e in quali casi particolari (sia in panificazione che in pasticceria) una farina deve essere setacciata (a parte quello di eliminare i grumi) prima di essere inglobata in un impasto? Approfitto della sua disponibilità per farle anche un'altra domanda: è merceologicamente giusto chiamare la frutta secca in polvere farina ? Grazie .
Buongiorno a Lei. Si, è quasi un obbligo setacciare le farine, amidi ecc. in pasticceria soprattutto se contengono polvere lievitante chimica. Oltre al principale motivo che ha già citato lei, questa operazione è fondamentale per far in modo che le parti che costituiscono gli sfarinati in generale, amidi, lieviti chimici ecc., siano omogeneamente mescolati e si possano distribuire uniformemente nell'impasto, soprattutto quando hanno granulometrie differenti. Per quanto riguarda invece il suo secondo quesito l'attuale normativa DPR 187/2001 da delle precise definizioni legali relative unicamente alle farine di grano tenero e sfarinati di grano duro limitantosi successivamente a utilizzare la parola farine come sinonimo di sfarinati. In ogni caso non c'è una precisa definizione legale che identifichi genericamente, unicamente e legalmente la parola "farina" ,ma vi è sempre la specifica del cereale, pseudocereale ecc. di riferimento. L'etimologia fa derivare la parola farina a far "farro",grano (con l'immediato riferimento al grano) e dalla definizione linguistica italiana si intende quindi un: prodotto di macinazione delle cariossidi di molti cereali, nonché di altri frutti o semi secchi, nonchè di varie sostanze organiche. Ritengo quindi che, da tale definizione e da un punto di vista prettamente lessicale, sia quindi corretto chiamare FARINA la polvere ottenuta dalla macinazione della frutta secca. Un saluto cordiale
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L'autolisi a caldo e a freddo rientrano negli impasti indiretti?
Buongiorno dottoressa Lauri,
Molte volte parlando con dei colleghi sbagliamo l'utilizzo della terminologia creando confusione, volevo chiederle la definizione di impasto indiretto, quali sono e nello specifico come viene classificata l' autolisi a freddo, a caldo e la gelatinizzazione dell'amido. Molti sostengono che quest'ultimi tre non sono da considerarsi indiretti per l'assenza di lievito, lei cosa ne pensa? Grazie per la sua risposta, gentilissima come sempre.
Buongiorno a lei. In tecnica di panificazione si definiscono impasti indiretti tutti gli impasti realizzati in due fasi in cui la prima fase prevede la realizzazione dei cosideetti "lieviti" cioè: biga, poolish, madre, mentre la seconda l'utilizzo degli stessi in toto o in parte nell'impasto finale. Le tecniche da lei citate cosi come il "doppio impasto" non rientrano nelle lavorazioni indirette, ma rappresentano solo delle tecniche alternative che vengono adottate in particolari condizioni operative, ma non sempre come si pensa. Non è una moda dire che si procede con un'autolisi caldo/fredda o con un doppio impasto, ma un'esigenza tecnica operativa. Non si devono adottare sempre e a tutti i costi, ma solamente quando gli impasti presentano particolari problematiche reologiche o quando si è in presenza di macinati interi (autolisi corta!). E' abbastanza intuibile che non si possa parlare assolutamente di una lavorazioen indiretta quando si opta per un fermo macchina di 30 minuti (autolisi a freddo) in assenza di biga, poolish, madre o di autolisi a caldo (gelatinizzazione dell'amido) quando questa è una esigenza tecnica che si odotta solamente in presenza di cariossidi intere o spezzate. Sono tecniche di buona pratica di conduzione di una lavorazione quando questa è rivolta a particolari sfarinati con caratteristiche specifiche, ma non rientrano nella classiche e canoniche metodiche indirette di lavoro. Ripeto, molti le fanno passare per moda o lavorazioni di tendenza senza però sapere quando e perchè si adottano. Con queste tecniche posso fare anche molti danni alla struttura e "rischiare" l'intero impasto. Un saluto cordiale e sempre a disposizione
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Germe di grano nell'impasto per Pizza
Buongiorno vorrei usare il germe di grano nella impasto della pizza usando il metodo poolish in quale percentuale lo posso usare? Quando metterlo nel impasto? Con quale farina lo posso usare . Grazie
Buongiorno a Lei. Personalemnte le consiglio di usarlo non nel poolish, ma solo nel rinfresco e in una percentuale non superiore al 1,5 - 2,0% sulla farina per pane o non superiore a 1,0% sulla farina se pizza (ulteriore presenza della maturazione). Il motivo è molto semplice; il germe rappresenta la parte del seme - frutto - cariosside dal quale prenderanno origine tutte le attività metaboliche enzimatiche per avviare il processo della germinazione. E' molto ricco non solo di lipidi, proteine, sali minerali, vitamine, ma soprattutto di enzimi in particolare proteasi. Una percentuale maggiore causa un elevata azione proteolitica sulla struttura glutinica e quindi difficoltà tecniche non trascurabili in fase di lavorazione. Lo può aggiungere a tutte le farine purchè non deboli (W<250) o 0.4<P/L<0.60 o addirittura <0.40. Chiaramente non a quelle che già lo contengono naturalmente. Un saluto e sempre a disposizione.
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In merito all'autolisi
Gentilissima Dott.ssa Lauri,frequento molti gruppi di panificazione amatoriale nei quali sono presenti persone che sostengono alcune teorie che generano in me (ma non solo) una certa confusione. Nei vari testi a mia disposizione non ho mai trovato il caso in cui viene citato un impasto, sottoposto alle regole del processo autolitico con all'interno un quantitativo di lievito madre (liquido o solido) o anche un impasto prefermentato. Le persone che divulgano questo metodo sostenendo che si tratta ugualmente di un processo autolitico hanno ragione? Inoltre mi scuso se approfitto dello stesso messaggio per chiederle ancora una cosa, ma è corretto chiamare biga o poolish un impasto contenente madre acida? Se NO, quali sono le giuste terminologie da utilizzare? Grazie!
Buongiorno a Lei. E' un piacere e sono a disposizione. In realtà il metodo realizzato con la tecnica dell'autolisi è una metodica che prevede due fasi: nella prima, alla farina viene aggiunta solo l'acqua (niente altro!) e si avvia il processo autolitico, mentre la seconda, in un certo senso, è una delle fasi di comune lavorazione. I fenomeni enzimatici e biochimici che interessano questa tecnica avvengono quindi di preferenza nella prima fase cioè quando tutti i componeti presenti naturalmente nella farina assorbono acqua (parti cruscali comprese, se presenti). La maggior parte delle reazioni chimiche sono reazioni di idrolisi e dopo l'assorbimento della stessa da parte delle macromolecole, si avviano i processi enzimatici legati all'azione delle idrolasi (amilasi, lipasi, proteasi ecc.). Tale metodica ha una durata variabile (da min 20 minuti a oltre 6 ore in base alle specifiche tecniche delle farine) e non si fa sempre e comunque, come molti erroneamente pensano. Si adotta solo in particolari condizioni di squilibrio reologico o se si è in presenza di macinati interi o di farine di TIPO INTEGRALE per permettere ai polisaccaridi non amido, presenti nelle parti cruscali, di assorbire acqua che mediamente si aggira circa in una quantità pari al doppio del peso delle stesse molecole (condizione che si verifica però solo se si supera la temperatura di transizione vetrosa!). Tali condizioni fisiche sono il preludio dell'azione di enzimi specifici. E' chiaro che l'azione delle proteasi si esplica essenzialmente sui legami peptidici del network glutinico diminuendo sia la forza sia la tenacità dello stesso impasto, oltre chiaramente a tutte le altre azioni enzimatiche..
Per quanto riguarda il suo secondo quesito: NO per definizione tecnologica la biga è e resta una miscela di farina, 44% di acqua e 1% di lievito di birra fresco e possiede determinate caratteristiche tecniche di processo. Posso aggiungere a piacere una quantità di Lm in deteriminate situazioni tecniche, ma in questo caso, quando viene usato il termine tecnico "biga" occorre fare delle doverose, tecniche e specifiche precisazioni spiegando prima il concetto di biga nel dettagli, a cosa serve, quando viene aggiunta e il perchè si aggiunge la madre. Un discorso similare vale per il poolish che, come tecnica di lavoro importata dalla Francia da diversi anni in ambito artigianale, presenta delle specifiche di produzione non indifferenti e non va bene per tutti gli impasti. Se lavoro con un poolish di solo madre personalmente lo chiamerei "madre liquida", ma questo è una questione di terminologia personale. Accade, qualche voilta, che molti improvvisati panificatori inventino, mettendo in discussione concetti che per i professionisti non si discutono perchè sono i caposaldi sui quali si reggono da secoli tutte le tecniche di processo: biga, poolish, metodo diretto, indiretto, pasta di riporto ecc. E' anche vero che fare il pane a livello amatoriale e casalingo non è proprio la stessa cosa che farlo in un panificio artigianale! Grazie a lei e sempre a disposizione.
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Come scegliere un'impastatrice
Buonasera dottoressa sono un pizzaiolo che ha sempre usato impastatrici a 1 velocità. Possiedo una pizzeria per asporto e di media lavoro 4 impasti:classica, khorasan integrale e teglia con metodi diretto e indiretto 'biga'. Adesso sono costretto a cambiarla per usura. Cosa può consigliarmi di acquistare visto che in commercio ci sono impastatrici di note aziende a prezzi di 5000/6000€... ed altri grossisti che propongono aziende meno conosciute ad un terzo del valore!!! La mia domanda:quali caratteristiche devo considerare. Sto considerando impastatrici a 2 velocità. La ringrazio fin d'ora per la sua disponibilità. Saluti
Buongiorno a lei. E' molto difficile rispondere al suo quesito perchè in linea di massima la capacità della vasca (dimensionamento della macchina) è basata sullla massa dei suoi impasti (non tanto dal numero degli stessi) e purtroppo in questo non la posso aiutare perchè non conosco la sua produzione in termini di massa totale. Se decide per una impastarice a spirale si assicuri che abbia il piantone centrale e che comunque possieda due velocità. L'ottimale sarebbe anche con la retromarcia, fondamentale per le bighe. Se opta per una bracci tuffanti deve avere minimo 44 battute/min. Le sconsiglio vivamente la forcella. La planetaria è ottima se abbina anche un discorso di pasticceria. In questo caso ordini anche la seconda vasca. Come per tutti i macchinari faccia attenzione all'assistenza tecnica che non sia lontano per i costi di viaggio, uscita, tempo, ecc., in caso di guasti. Un saluto cordiale e grazie per essersi rivolto al nostro servizio.
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Complimenti
Volevo solo fare i complimenti a voi e a tutta la redazione. In poco tempo siete diventati l'unica fonte autorevole e libera del settore. Ringrazio la dott.sa Lauri per la sua dedizione nel miglioramento dell'arte panificatoria. Complimenti a tutti.
Grazie a lei per la preferenza accordataci. Siamo noi che dobbiamo ringraziare lei e tutti i nostri lettori per la stima e la fiducia che riponete in noi tutti i giorni/mesi. La testata è sempre a vostra disposizione con le sue rubriche, servizi, opinioni libere e i commenti che potete lasciare sotto ogni articolo. La redazione è sempre a disposizione. Grazie ancora e Buona lettura
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Bighe e rinfreschi "abbondanti"
Gent.ma dott.ssa, prima di tutto grazie per la sua generosa disponibilità di cui approfitto con questa mia seconda lettera. Lei è stata molto chiara nello spiegare cosa sia una biga, ma io, avendo purtroppo letto sulla rete in modo disordinato, sono molto confusa e vorrei sapere se ha senso effettuare una lavorazione in due (tre) tempi, come quella che si legge nei diversi blog di panificatori casalinghi (e probabilmente all'oscuro delle nozioni scientifiche di base), in cui viene prima effettuato un "abbondante" rinfresco in proporzioni variabili, dal 30% al 90% dell'impasto complessivo, con percentuali di idratazione anch'esse variabili dal 45% al 100% , e successivamente, a distanza di 8-12 ore, questa massa viene utilizzata per l'impasto con tutti gli ingredienti (in proporzione variabile). E se un senso esiste, esistono regole cui affidarsi, visto che a leggere sulla rete ognuno fa un po' quello che gli pare? O piuttosto, utilizzando la pasta madre si deve impastarne una percentuale ottimale (il 10%?) con farina, acqua, sale, ecc e mettere a lievitare l'impasto così ottenuto, come si farebbe in un impasto diretto con il lievito di birra? Oppure sarebbe meglio farlo maturare un certo numero di ore in frigo? O si deve procedere diversamente a seconda delle farine usate e del pane che si intende realizzare? Avendo così tanti dubbi, e non avendo finora trovato risposte neppure in questa rivista, le chiedevo se esistesse un libro scientificamente valido sull'utilizzo della pasta madre, con la quale mi trovo veramente bene dal punto di vista pratico e del gusto. Grazie ancora.
Buongiorno a lei. Ha ragione nel dire che in rete si legge di tutto e tutto il contrario di tutto. Sono tutti improvvisati tecnici, maestri ecc., basta che frequentino un corso qualsiasi e diventano istruttori, tecnici dei lievitati, professori e quant'altro. Ha altrettando ragione quando afferma che non c'è un metodo standard di produzione; è anche vero però che il pane, cosi come tutto questo mondo in generale, è artigianale e per essere definito "arte" deve essere affidato alle abilità tecniche del singolo panificatore. Cosi deve essere perchè il pane non è altro che la rappresentazione della personalità del panificatore o di chi lo fa. Un pane senza sapore, che dura pochissime ore, identifica un artigiano che non ha voglia di fare, non lo cura, non lo ama e si affida a "ingredienti" che non sono certo la rappresentazione di arte, abilità e professionalità. Lo stesso vale per chi acquista a livello casalingo le miscele già pronte dagli scaffali della GDO e pensa che basti semplicemente aggiungere il lievito, l'acqua e il sale. Per quanto riguarda invece uno dei suoi quesiti le rispondo che non c'è una percentuale ottimale di madre, numero dei rinfreschi ecc., a livello generico, perchè il concetto di "ottimale" in questa arte è troppo soggettivo; l'ottimale per lei può non esserlo, per esempio, per una sua collega che ha esigenze e condizioni operative differenti o ancora per un artigiano professionista. Mi dispiace immensamanete che fino ad ora non abbia ancora trovato su questa testata le risposte ai suoi quesiti, ma siamo nati da poco e il mondo dell'arte bianca è cosi vasto che esistono corsi specifici, master universitari, esami e tesi di laurea. Poco per volta, se continua a darci fiducia, cercheremo di miglioraci e personalemnte cercerò di colmare alcune sue lacune. In ogni caso, ponga un quesito chiaro e farò del mio meglio per rispondere nel modo più dettagliato e approfondito possibile. Nel mio piccolo ho scritto quattro testi di cui nell'ultimo Pane e pizza due mondi un'unica passione, FIp - Messina (2012) affronto anche il discorso della madre da un punto di vista scientifico e microbiologico. Complimenti per la sua passione e grazie per essersi rivolta al nostro servizio. Un saluto cordiale e sempre a disposizione.
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Biga, poolish e "intrugli", perché no?
La ringrazio per la chiarissima spiegazione e per le informazioni utilissime che è così gentile da dispensare a me e agli altri suoi lettori, e mi scuso in anticipo se la prossima domanda dovesse sembrarle stupida. Ma mi piacerebbe avere il suo parere su questa mia strampalata idea, e cioè che la presenza di questo "grande rinfresco" nell'impasto possa conferire ad esso caratteristiche simili a quelle che gli conferirebbero una biga o un poolish. Non per un pregiudizio verso il lievito di birra, ma unicamente perché trovo più pratico fare un "intruglio" con 300gr di farina e 30gr di licoli, invece che un poolish con 300gr di farina e 0,1gr di lievito secco (che è quello che utilizzo) . In altre parole, una simile "procedura", che a me pare funzionare, è da scartare in toto, o può essere considerata e studiata per un uso casalingo? Ancora grazie per la pazienza.
Buongiorno a Lei. Mi scusi ma non riesco a capire bene il suo quesito. Mi sembra di capire che lei faccia un rinfresco della madre e la reputi più pratico della realizzazione del poolish fatto con lb per una questione di quantità da pesare. Personalmente ritengo che il concetto di "praticità" sia molto soggettivo e dipenda dalle abitudini di lavoro. Perchè No, se lei ritiene che possa andare bene per le sue specifiche condizioni operative e di prodotto. Questo discorso vale sia per i professionisti sia per gli appassionati di arte bianca che operano a livello casalingo. La percentaule di lb da pesare (calcolata sulla farina) è in funzione delle ore di riposo per il poolish per cui, più è lungo (max 12 ore) più dovrà ridurre la quantità di lievito, restando comunque all'interno di un range 1.0% - 0.1%.. La biga ha un valore standard di S. cerevisiae che si attesta sull 1.0%, sempre calcolato sulla farina, sia che maturi 24 sia che maturi 48 ore (cambiano le condizioni operative di conduzione, non la quantità di lievito) mentre per la madre liquida (nel suo caso specifico) ogniuno fa gli allughi o rinfreschi madre/farina che ritiene più opportuno, cosi come la quantità di madre da utilizzare nell'impasto finale in base appunto alle abitudini, prodotto che si desidera ottenere ecc., ecc.. Spero di aver risposto esaurientemente al suo quesito. In caso contrario non esiti a contattarmi nuovamente. Grazie e Buona giornata
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Macro micronutrienti, scissione enzimatica proteolisi
Buongiorno Dottoressa,
Vorrei porle una questione riguardo la maturazione e la maglia glutinica, nel momento in cui l'impasto inizia a perdere forza per effetto della proteolisi è possibile riformare la maglia? Molti pizzaioli usano "rigenerare" i panetti e si ottengono anche buoni risultati, ma credo che siano casi in cui la maglia è ancora intatta, in particolar modo vorrei capire se le proteine, anzi se tutti i macronutrienti, sono ancora disponibili e quindi nel caso delle proteine siano pronti a formare di nuovo la maglia o se sono stati tutti scissi in micronutrienti. Mi scusi forse l'ho ingarbugliata un po' questa domanda. Grazie come sempre per la sua disponibilità.
Buongiorno a lei. Mi scusi ma i suoi quesiti sono molti e procedo quindi per gradi. Prima di tutto, l'azione proteolitica svolta da specifici enzimi, appunto le proteasi, permette la scissione dei legami peptidici. Queste specifici legami tipici delle strutture proteiche avvengono tra il gruppo carbossilico di un amminoacido e il gruppo amminico del successivo (liberazione di una molecola di acqua) creando una catena o scheletro peptidico dal quale protudono i radicali dei singoli aminoacidi in grado anch'essi di formare legami con radicali di aminoacidi vicini creando i cosidetti legami intra o inter molecola. Le proteasi scindono i legami peptidi della sequenza amminoacidica rompendo in più punti il network glutinico. Una volta rotto la struttura proteica, non è più possibile "ricostruirla", in quanto la sintesi proteica è mediata da particolari complessi enzimiatici, strutture cellulari e codici presenti su tRNA, mRNA ecc.. La tipica operazione manuale legata alla "rigenerazione" dei panetti è legata alla necessità di aumentare la forza della struttura e avviene quando ancora la maglia proteica non è completamente sfaldata permettendo la formazione, non dei legami peptidici, ma dei legami tra i residui aminoacidi esterni e non implicati nel legame peptidico ossia quelle parti identificative del singolo aminoacido. Un alimento non perde i suoi macro e micronutrienti può perdere solo acqua per effetto dell'evaporazione, ma le altre strutture o principi alimentari restano all'interno, a meno che non si proceda alla carbonizzazione. In questo caso restano comunque dei sali minerali. Un qualsiasi alimento contiene sia macro sia micronutrienti e la definizione "macro" o "micro" è legata alla quantità richiesta dall'organismo umano. Per i macronutrienti parliamo di grammi, mentre per i micronutrienti parliamo di unità di misura molti più piccole milli o microgrammi. Tra i macro si citano i carboidrati complessi, semplici, proteine, lipidi, mentre tra i micro tutti i sali minerali, vitamine ecc. a loro volta catalizzatori di molte reazioni enzimatiche o precursori di catalizzatori. Un macro NON può diventare micronutriente, ma solo essere scisso, per azione enzimatica specifica, nei suoi componenti strutturali (proteine - aminoacidi, carboidrati complessi - singole unità glucidiche, lipidi - glicerolo e acidi grassi ecc. ecc.) Spero di aver risposto esaurientemente ai suoi quesiti. Un saluto e a disposizione.
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Acqua con CO2 per i rinfreschi della madre
Buongiorno Dott.ssa Lauri.
Avrei un quesito da porle: uso di acqua gasata nel rinfresco del lievito madre
Anni fa in rete, si consigliava di usare acqua gasata ( insieme allo starter ) al posto dell'acqua normale per formare il lievito madre sostenendo che questo ne avrebbe aiutata la formazione .
Questa cosa fu poi smentita da molti, sostenendo l'infondatezza di tale sistema.
Ora io ho incontrato un professionista che usa questa tecnica.
Ha un lievito mantenuto in acqua e usa questa metologia nei rinfreschi preparatori alla panificazione e nel suo mantenimento. Questo verrebbe fatto in quanto la CO2 presente nell'acqua gasata"produrrebbe" una sorta di "pulizia-sanificazione" delle parti dannose e allo stesso tempo creando un ambiente favorevole alla moltiplicazione di lieviti-batteri "buoni". Ha un suo fondamento questa teoria/metodica ?
Effettivamente ho avuto modo di vedere gli impasti finali spingere veramente bene, ma magari questo è riconducibile a un lievito in perfetta salute, impasti,tempi e temperature corrette.
La ringrazio se ha il tempo di rispondermi.
Buongiorno a lei. Personalmente non ho mai usato l'acqua addizionata di anidride carbonica, perchè nel momento in cui avvio un'agitazione meccanica, la maggior parte del gas, fuoriesce dal liquido. E' vero che la CO2 se l'ambiente è saturo crea una sorta di "atmosfera modificata" per cui inibirebbe lo sviluppo di batteri e forme microbiche aerobie (che vivono solamente in presenza di ossigeno), ma non mi sembra che sia questo il caso; per lo meno, in un impasto da pane, l'azione è notevolemnte ridotta. L'agitazione meccanica (impastamento) determina, tra le altre cose, anche l'introduzione di aria (N2, O2, CO2 ecc) oltre alla dispersione di CO2 dal liquido. Per carità tutto può succedere e sicuramente si potrebbe creare una sorta di "inibizione", ma se l'ambiente è troppo "saturo" di CO2 (naturale o prodotta dal metabolismo), i lieviti non si riproducono, ma avviano immediatamente il processo fermentativo. I LAB non hanno problemi, possono svilupparsi sia in presenza sia in assenza di O2; molti batteri putrefattivi vivono invece in assenza di O2. Queste sono risposte teoriche, ma nella pratica artigianale di una madre (equlibri microbici dettati dalle differenti specie) sono troppi i fattori che possono influenzare uno sviluppo microbico. In ogni caso, come lei ha concluso, magari la CO2 non c'entra assolutamente nulla. Un saluto cordiale
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Libro sul grano duro. Posso fare le ciabatte?
Gent. dott.ssa, potrebbe consigliarmi un libro sulla panificazione , rivolto non a panettieri o pizzaioli professionisti , ma a chi, e credo siamo in tanti, vuole realizzare un buon pane per la sua famiglia? E se questo libro non esiste, potrei sperare che lo scriva lei? Un libro “per tutti quelli, che vogliono produrre un pane il più possibile buono e sano, utilizzando buone farine, ma che non costino una follia, che non dispongono di camera di lievitazione o forni particolari e che debbano conciliare il fare il pane con gli orari di lavoro di una donna normalmente attiva. Un libro che suggerisca ad esempio come fare una biga se in casa ci sono 22° e non 18° : ne utilizziamo meno ? La utilizziamo dopo meno ore? Diminuiamo la percentuale di lievito? Utilizziamo il frigo? In particolare a me, che ho la possibilità di acquistare ad un buon prezzo della farina biologica Senatore Cappelli, interesserebbe sapere se può essere utilizzata in un poolish o in una biga e, se si, per quante ore. O se è preferibile un impasto diretto con maturazione in frigo. Oppure se è possibile utilizzarla, pura o con alter farine, in impasti idratati oltre il 60%. Infine spero possa rispondere su questo spazio alla seguente domanda: che succeede se in sostituzione dell’1% di lievito in bighe o poolish, si utilizza il 10% di pasta madre o licoli senza aggiungere lo 0,8% di lievito? Vorrei saperlo in quanto ho creato il mio licoli anche per ovviare alla difficoltà di pesare quantità così piccole di lievito, ed è questo che faccio il più delle volte, con risultati più o meno buoni. Grazie.Mi scusi se ho esagerato, sapesse quante domande...
Buongiorno a lei. Grazie per la stima. Attualmente il mio impegno è in questo ultimo sforzo editoriale cioè questa testata giornalistica che è nata anche con lo scopo di sopperire alla scarsità di informazioni tecniche scientifiche corrette e aiutare tutti i professionisti e gli appassionati ad affrontare i problemi quotidiani. Le lezioni di Arte Bianca sono proprio finalizzate a questo obbiettivo: rendere la panificazione accessibile a tutti i professionisti e non che amano questo meraviglioso mondo. Lo spazio sotto gli articoli è libero ai quesiti, commenti ed è a disposizione di tutti. Una sorta di forum, blog dove scambiare opinioni inerenti all'articolo. Per quanto riguarda i prezzi delle farine ha ragione. C'è qualche azienda molitoria che pensa di vendere l'oro! Attenzione alle truffe!!!! Per quanto riguarda il suo quesito sulle bighe, se in casa ha 22 gradi non c'è nessun problema. Prima di inziare a preparare una biga e quindi stabilire quanta acqua, quale temperatura e quanto lievito, deve sempre utilizzare questa formula 55 - temperatura ambiente - temperatura farina. Nel suo caso specifico 55 - 22 - 21 (la farina se termostatata all'ambiente ha circa 1 - 2 gradi in meno) Da questo si ricava 12°C per l'acqua da utilizzare. Come vede è tutto in funzione delle condizioni di stoccaggio, tempo e temperatura. La biga cosi preparata può stoccare fino a un massimo di 24 ore. Per quanto riguarda il suo ultimo quesito la farina Senatore Cappelli può benissimo essere usata tal quale sia per biga sia per poolish e poi utilizzata come farina di allungo/rinfresco, purchè non faccia bighe troppo lunghe o poolish di 12 ore. Perfetta per poolish di 8 ore e bighe di 18 ore. Le chiedo scusa se approffito del suo ultimo quesito per dire a tutti che la lavorazione con la pasta acida naturale o madre non è una moda, come sembra sia da 2/3 anni a questa parte, perchè il comportamento dei LAB sulla struttura dell'impasto è completamente differente da quello dei blastomiceti. Ci sono impasti che con la madre non riescono e i risultati non sono assolutamente quelli sperati!!! Tornando al suo quesito, SI può realizzare bighe con il licoli, ma sempre con lb sia chiaro perchè se no, NON è più una biga, ma un semplice rinfresco della madre. Ci sono dei caposaldi della tecnologia di panificazione che non si discutono perchè verificati e studiati da secoli a livello universitario: uno di questi è proprio il concetto di BIGA intesa come miscela di farina, acqua, lievito di birra. A disposizione per tutte le altre domande. Grazie
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Differenza tra poolish e biga
Buongiorno Dott.
Vorrei cortesemente sapere la differenza che si riscontra nel risultato finale procedendo con le due tecniche sopraccitate. Ci sono casi in cui è preferibile l'utilizzo di una rispetto dall'altra? Grazie mille.
Buongiorno a lei. Poolish e biga rientrano nella classica lavorazione indiretta. Il poolish ha un riposo o maturazione di massimo 12 ore a temperatura ambiente (18 - 20°C), purchè realizzato con 0.1% di lievito di birra fresco, ed è consigliabile quando l'idratazione dell'impasto finale è maggiore del 65%. Tale metodica dona una certa leggerezza e friabilità di crosta e trova il suo optimum di impiego nei cosidetti "impasti molli". La biga invece può essere indistintamente utilizzata in qualsiasi tipologia di prodotto e con qualsiasi idratazione. Può avere anche 48 ore di maturazione a differenza delle 12 del poolish. Ci sono addirittura dei pani che senza la biga non possono essere realizzati. E' chiaro che il tempo di maturazione maggiore porta a valutazioni sensoriali sul prodotto finito maggiori rispetto al poolish, ma questo è legato alla quantità di utilizzo nel prodotto finale. Il poolish è generalmente usato tutto in quanto il rapporto di allungo della farina è stabilito, mentre la quantità di biga è appunto molto variabile e dipende da differenti fattori. Spero di essere stata abbastanza esaustiva. Un saluto cordiale e grazie a lei.
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Antinutrienti e farina integrale per impasti di pizza
Ho più spesso letto e sentito che è consigliabile agire con un indiretto quando si fa uso di farine di tipo integrali per inibire gli antinutrienti presenti nella crusca.
Bisogna SEMPRE agire con un indiretto oppure con un diretto seguito da una lunga maturazione in frigo (+24h) si avrebbe comunque un'inibizione di tali sostanze?
Buongiorno a lei. In linea di massima dipende dalla quantità di farina di tipo integrale che utilizza rispetto alla farina di frumento definita "bianca" nella formulazione della ricetta. Mi spiego meglio, se utilizza massimo 10% di farina di tipo integrale e 90% di "bianca" può essere sufficiente solo una maturazione di 48 ore, in caso invece di quantità maggiori di integrale deve modificare la metodica di lavoro. In ogni caso la farina di TIPO INTEGRALE (dipende da quanta crusca contiene!) va messa sempre tutta in biga e successivamente può essere rinfrescata con una "bianca" nel rapporto che ritiene più opportuno. A quel punto proceda come di consueto, ma soprattutto non faccia MAI mancare la maturazione di minimo 24 ore a +4°C o secondo sua abitudine. Grazie per essersi rivolto al nostro servizio. Un saluto e a disposizione.
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Cisteina
Buona sera dottoressa . Vorrei gentilmente che mi spiegasse perche' la cisteina che e' l'unico aminoacido che puo' formare ponti disolfurici, perche' e' l'unico che contiene il gruppo sulfidrilico -SH che ossidandosi forma il ponte -S-S-, venga considerato un attivatore della proteolisi cioe' trasforma le proteasi contenute nella farina da passive ad attive (letto su Panificando di Giorilli),indebolendo la farina. Il mio rompicapo e':ma se aggiungo piu' cisteina, quindi piu' gruppi -SH che ossidandosi con l'ossigenazione dell'impasto durante la sua formazione non si vengono a creare piu' ponti disolfurici? aioutooooo
Buongiorno a Lei. Mi scusi ma il suo quesito è molto preciso e lecito e richiede una risposta biochimica molto dettagliata. Nella sua email lei fa riferimento a un preciso passaggio tratto da un testo. Personalmente ritengo che la persona più indicata per dissipare ogni suo dubbio sulla modalità biochimica dettagliata di attivazione delle proteasi in presenza di cisteina e sull'azione indebolente sul network glutinico, sia proprio l'autore del testo. La ringrazio e resto a sua completa disposizione. Un saluto cordiale
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Alveolatura
Buonasera vorrei aumentare l'alveolatura nelle pizze in teglia fatte con impasto indiretto con biga al 50%
Buongiorno per poterla aiutare avrei cortesemente bisogno di molte altre informazioni: percentuale ingredienti, maturazione e temperatura della biga, temperature/temperature di maturazione della massa, tempi/temperatura di fermentazione ecc. Mi dispiace, ma purtroppo con questi dati mi è impossibile risponderle. Grazie a lei. Un saluto
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LIEVITINO
Buonasera dott.ssa Simona, girovagando sul web mi sono imbattuto su un video riguardante la preparazione dei croissant. La ricetta prevede la preparazione di un impasto indiretto con il “Lievitino”. Il lievitino viene preparato come una biga con il 14% di lievito fresco di birra per kg di farina e una volta terminato l’impasto viene messo a riposare nell’acqua a 35°, quando l’impasto inizia a galleggiare è da definirsi pronto all’uso. Lei cosa ne pensa di questo procedimento? La ringrazio fin d’ora per la risposta .
Buongiorno a Lei. Mettiamo cosi la sua domanda: Lei farebbe questo procedimento? Personalmente NO perchè non ho mai lavorato e non ho intenzione di iniziare a lavorare con il 14% di lievito di birra fresco, qualsiasi sia il prodotto o la metodica. Grazie per la preferenza accordatami. Un saluto cordiale
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Farina
Cosa ne pensa del Molino dalla Giovanna ,secondo lei fa maturare la farina?
Buongiorno a Lei. Grazie per aver posto il quesito ma per deontologia professionale da tecnologo prima ancora che da giornalista non posso rispondere al suo quesito in quanto è citata una azienda. Un saluto e grazie
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Come lavorare farine integrali o di segale
Buongiorno Dottoressa.
Sono un panificatore semiprofessionista residente all'estero e suo "seguace" (ho ben 3 dei Suoi libri!!!). Ho un quesito da porle: quale metodo e procedimento di lavoro consiglia per un pane di 100% farina di grano tenero integrale (forte), e quale per un pane (o pizza) con alta percentuale di farina di Segale (30%-35%)?
Da premettere che sono impossibilitato ad avere una pasta naturale acida, devo quindi per forza procedere al massimo con indiretti biga o poolish o con lunghe maturazioni in frigo. Nel caso di indiretto per pane di segale, come posso "strutturare" il prefermento? Augurandole un buon lavoro, La ringrazio infinitamente.
Buongiorno a Lei. Risiedendo all'estero la farina che utilizza esula dalla definizione legale di farina di TIPO INTEGRALE (DPR 187/2001) e non so quale possano essere le sue caratteristiche tecniche rispetto al concetto italiano di "INTEGRALE". In ogni caso quando si è in presenza di sfarinati interi o di farine integrali si deve prediligere e optare sempre per una lavorazione sempre indiretta, il più lunga possibile (limitatamente alle caratteristiche reologiche dello sfarinato in questione) per disattivare tutti gli antinutrienti presenti che complesserebbero e inibirebbero l'assorbimento di micronutrienti, sia che si riferisca al pane sia alla pizza. Un discorso molto particolare va invece fatto per la segale la quale, rispetto al frumento, presenta dei vantaggi nutrizionali importanti, ma notevoli problematiche di gestione tecnica in fase di produzione di pani, ecc., per la maggior percentuale di proteine solubili rispetto alle insolubili, ma soprattutto per l'elevata attività delle alfa, beta amilasi, proteasi e per la temperatura di disattivazione delle stesse amilasi intorno ai 95°C contro mediamente i 70°C di quelle relative al frumento. Proceda sempre lavorando la segale in una sorta di preimpasto "acido" aggiungendo (in mancanza della madre acida di segale) acqua pari al 53% della farina (anche 55 - 60% di più se la segale è intera) 0.8% di lb e 20% di madre lasciando fermentare per 48 ore a temperatura di 25 - 28°C. Le consiglio comunque di operare sempre, sulla farina di segale che utilizza, un' autolisi a caldo oltre i 100°C. Un saluto cordiale e a disposizione
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Come gestire un autolisi
Buongiorno Dottoressa volevo chiederle come gestire un impasto con autolisi per pizza.
Buongiorno a Lei. La gestione della metodica di lavoro denominata "autolisi" non è differente se condotta per pane oppure pizza. La cosa principale da sapere è che non è una "moda" o tendenza come molti vogliono farla apparire, ma una tecnica che non può e non deve essere condotta sempre su tutte le farine o sfarinati, ma in presenza di farine con determinati squilibri reologici oppure quando si lavora con macinati interi. E’ una metodica di lavoro basata principalmente sulla "lisi" che subisce la maglia glutinica. In linea di massima è adottata per aumentare l'estensibilità dell'impasto, velocizzare il processo dell'impastamento successivo e la lavorabilità di sfarinati squilibrati, in conseguenza proprio della lisi proteica che subisce la maglia glutinica durante il riposo. A questo, generalmente fa seguito una migliore lavorabilità, un aumento di volume e nel prodotto finito con una migliore alveolatura della mollica. In linea di massima, si ricorre a questa metodica quando si lavora con farine particolarmente tenaci P\L >1.5, oppure con sfarinati che contengono molte parti cruscali per favorire l'assorbimento dell'acqua da parte dei polisaccaridi non amido soprattutto pentosani presenti nelle parti esterne della cariosside. Si procede miscelando inizialmente soltanto farina ed acqua; ad impasto ultimato si procede con il riposo che può variare da un minimo di 15 minuti ad un massimo di 24 ore. Se il riposo si protrae per oltre le 6 ore occorre aggiungere anche il sale. Questa miscela autolitica verrà ripresa tutta o solo in parte ed impastata nuovamente con il resto degli ingredienti mancanti. Nel caso di un breve riposo di 10 - 20 minuti (condizione ideale e da preferire nel caso di macinati interi) la miscela "autolitica" ,viene ripresa tutta ed impastata nuovamente con l'aggiunta degli ingredienti mancanti cioè sale, lievito ecc., mentre se si protraggono i tempi, occorre ridurre il quantitativo di impasto autolitico da utilizzare fino al caso di solo 15 - 20% sulla farina.
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Tipo integrale o tipo 2?
Gentile Dottoressa tempo fà lei mi disse che se non si è certi della provenienza del grano è meglio utilizzare una farina di TIPO 2 che una di TIPO integrale,ma considerando che le classificazioni delle farine 00,0,1,2,integrale per legge si ottiene misurando la quantità di ceneri possiamo affermare con certezza che all'interno di quella farina vi è una determinata quantità di parte cruscale . Possiamo essere certi che nel caso della tipo 2 la parte più esterna, che potrebbe essere inquinata, non sia poi stata reinserita per ottenere la classificazione desiderata? Grazie
Buongiorno a lei. Nelle farine denominate, secondo DPR 187/2001, TIPO OO, O, 1, 2 le parti cruscali provenienti dalla parte esterna della cariosside sono praticamente assenti. L'aumento di ceneri è dato dalla presenza, oltre che dall'endosperma amilaceo della cariosside, anche dagli strati che dall'endosperma vanno verso la periferia della cariosside partendo però dall'interno. La parti cruscali esterne sono aggiunte solo per ottenere la farina che merceologicamente parlando è commercializzata con la denominazione legale di farina di TIPO INTEGRALE e saranno aggiunte in percentuale più o meno marcata in base al fatto che si parta da una farina di grano tenero TIPO OO o O o 1 ecc. e tali da raggiungere il limite legale ammesso di ceneri secondo art. 1 del DPR 187/2001. In parole più semplici per ottenere una Farina INTEGRALE da una TIPO OO aggiungerò più parti cruscali che se dovessi partire da una TIPO 1 in quanto il valore massimo di ceneri della TIPO OO è 0.55 parti/100 parti di sostanza secca rispetto a TIPO 1 (0.80 parti/100 parti di sostanza secca). Un saluto cordiale e grazie
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grano duro senatore cappelli
Gentile Dottoressa il grano duro senatore Cappelli si può definire frumento antico o comunque non modificato geneticamente?
Buongiorno a Lei. Il grano duro var. Senatore Cappelli è stato creato da Strampelli quando Raffaele Cappelli (allora non ancora nominato Senatore) nel 1907 concesse a Strampelli di seminare delle varietà sperimentali nei suoi campi in provincia di Foggia. Nel 1915 selezionò una nuova varietà e nel 1923 lo stesso Strampelli nominò proprio Senatore Cappelli. Il grano duro var. Senatore Cappelli era stato ottenuto incrociando varieta estere di grano duro con quelle autoctone italiane dell'Italia insulare. Era molto più produttivo nonostante fosse più alto, era una varietà autunnale e molto adatto alla pastificazione. Definirlo ANTICO mi sembra un pochino eccessivo in quanto volendo vedere ha solo 100 anni di storia. Ci sono varietà molto più antiche presenti in Italia, due su tutte, per esempio il T. monococcum sp. monococcum, oppure sp. dicoccum, T. turgidum sp. turannicum ecc. Mi scusi ma cosa intende per "non modificato geneticamente"? Grazie
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Puntata ed appretto
Per farmi capire faccio due esempi:
1° Esempio
Come faccio io il pane. Preparo una biga con 300g di farina tipo 1, 100g di lievito liquido (1:1 farina acqua rinfrescato 6-8 ore prima) e 100 grammi di acqua. Impasto con una spirale per 3-4 minuti a velocita 1 e lascio riposare 10-12 ore a circa 18 °C.
Nel seconda fase impasto la biga con 400 g di farina tipo 1 e circa 400 acqua 10 g sale ed un cucchiaino di malto.
L'impasto fa una puntata di circa 90 minuti. Poi faccio delle pieghe, staglio e metto nei cestini per fare un appretto di 4 ore circa e poi passo alla cottura. (Logicamente questa ricetta è presa, a grandi linee, da un libro sulla panificazione).
2° Esempio
Andiamo alla seconda ricetta letta su un libro di un noto chef abruzzese. Lui nel suo ristorante produce un pane con lievito madre ad alta idratazione, circa 80%, impastando la sera e lasciando puntare tutta la notte per 9-10 ore e dopo lo staglio fa un appretto di 2-3 ore e poi passa in cottura.
Quindi mi chiedo come nascono questi tempi di lievitazione? Solo prova e riprova? Nella maggior parte delle ricette che leggo, le puntate sono corte rispetto alla seconda lievitazione e mi sembra in particolare per quelle dove c'è lievito madre. Giusto? Cambiando i tempi di lievitazione si ottiene un prodotto diverso? Quali sono le finalità principali di queste due lievitazioni? Spero di essere stato chiaro.Grazie
Buongiorno a Lei. Prima di tutto nell'esempio n. 1 non prepara una biga ma opera un semplice rinfresco della madre in quanto per definizione tecnica, per "biga" si intende una massa realizzata con farina, 44% di acqua e 1% lievito di birra e condizioni operative di stoccaggio (tempi e temperature) differenti da quelle riportate nell'esempio. La differenza tra i due casi consiste in: riposo della massa rinfrescata e successivamente utilizzo (1 caso), assenza di riposo della massa rinfresca, ma puntata in massa decisamente più lunga (2 caso). A mio modesto parere, in termini di sensazioni organolettiche ed in assenza di acidità marcata ecc., è da preferire il primo caso, ma questa è solo una valutazione soggettiva sulla carta. Rispondendo al suo quesito posso dire che ... SI, cambiano le sensazioni organolettiche. Nel primo caso lo sviluppo aromatico è migliore proprio perchè è un "rinfresco" ed avviene in assenza di sale; il secondo, a parità di tempo, sviluppa minori aromi perchè l'impasto è completo di tutti gli ingredienti compreso il sale che esercita, tra l'altro un'attività batteriostatica. Chiaramente sono solo valutazioni sulla carta e a questo punto teoriche. Per effettuare una valutazione corretta occorre partire dalla stessa madre, stessa farina, acqua e operare le due tecniche di lavoro, nelle stesse condizioni operative di cottura (temperatura, tempi ecc.), andando poi a valutare le sensazioni organolettiche e di shelf - life sui prodotti finaliti a pari peso e forma, sempre se non intervengono altre cause esterne. Un saluto cordiale e sempre a disposizione.
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Lievito e vita
Salve dottoressa,tra i pizzaioli si fa spesso a gara a chi mette meno lievito nell'impasto,tipo lo 0,1 / 0,05 . Ho letto però che se il lievito è utilizzato in dosi notevolmente inferiori a quelle consigliate si può arrivare al “marciume” dell’impasto per un “eccesso di debolezza” con conseguente cattivo odore ecc. Potrebbe gentilmente spiegarmi con parole semplici, come mai è così importante la presenza di lb affinché l'impasto diciamo così resti "in vita " e non marcisca, qual'è la sua funzione in questo caso, qual'è il range in cui si deve rientrare, e se valgono le stesse regole tra pizzeria e panificazione. La ringrazio anticipatamente per il suo enorme e gentile contributo.
Buongiorno a lei. Mi scusi ma cortesemente non riesco a comprendere bene il significato della frase "dosi notevolmente inferiori a quelle consigliate". Prima di tutto c'è da fare una netta differenza tra la gestione di una tecnica per produrre il pane e una per produrre la pizza. In panificazione l'obbiettivo del panificatore è quello di ottenere un prodotto nel quale avvenga principalmente un processo metabolico di fermentazione (alcoolica, lattica ecc.) per permettere lo sviluppo di una mollica con alveolotura adeguata, colorazione e friabilità di crosta, volume, conservazione ecc., in un prodotto che ha una forma e pezzatura ben precisa e che subisca una cottura indicativamente a 230 - 240°C per un tempo più o meno lungo in base alla pezzatura che in alcuni casi supera il chilo. E' chiaro che per raggiungere certi obbiettivi (differenti da quello di un pizzaiolo) i paramentri di processo ai quali bisogna prestare particolare attenzione sono: la percentuale di lievito sulla farina, la temperatura dell'impasto a fine impastamento, la temperatura dell'acqua da utilizzare, la tempistica e la modalità di impastamento, i tempi/temperatura di riposo, tempi/temperatura di fermentazione ecc. Se in un impasto da pane si lavora con una metodica diretta corta (4 ore) e si utilizza una percentuale di lievito molto bassa (<0.1% sulla farina) si può incorrere in situazioni metaboliche in cui la microflora dei blastomiceti non ha tempo di svilupparsi e quindi colture differenti (presenti come microrganismi contamionanti naturali delle materie prime) possono prendere il sopravvento e sviluppare metabolismi non volutii. La situazione è completamente differente nella produzione di un impasto per pizza (classica, teglia, pala poco importa) in cui l'obbiettivo finale non è quello di operare una fermentazione, ma una maturazione enzimatica prima della fermentazione. Per fare ciò si deve lavorare con una % di lievito compresso molto bassa. Per quanto riguarda invece il suo quesito sul range di lievito di birra da utilizzare, mi è molto difficile rispondere, poichè dipende dalle abitudini di lavoro di ciascun artigiano sia panificatore sia pizzaiolo. Le domande invece che si deve porre sempre quando legge certe informazioni sono sempre le stesse: A quale produzione si riferiscono? Cosa devo produrre? Un saluto cordiale e a disposizione
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Come correggere una pasta madre troppo "acetica"
Buongiorno dottoressa e Complimenti! Ho da 2 anni ormai una pasta madre da me innescata e mi sembra che sia troppo sbilanciata nella parte acetica, le chiedo: come faccio a valutare in modo empirico se questo è vero? Ed eventualmente come posso correggere questo squilibrio? Grazie!
Buongiorno a lei.
Purtroppo la valutazione della specifica tipologia di acido la può evidenziare solo attraverso una analisi chimica analitica adeguata. La valutazione del pH non è assolutamente indicativo sulla specifica degli acidi presenti. A livello empirico (molto empirico!) può annusare ed eventualemnte assaggiare la madre. Se percepisce un aroma e gusto molto intenso di acido acetico simile al gusto, odore e profumo dell'aceto potrebbe avere una presenza marcata di acido acetico. In questo caso le consiglio di operare un lavaggio in acqua 20°C per 10 - 15 minuti, operare un rinfresco con pari peso di farina e conservare a temperatura ambiente max 20°C per 24 ore. Il giorno dopo operi un altro rinfresco con le stesse modalità madre:farina 1:1 e 44% di acqua. Un saluto cordiale e grazie.
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Durezza e pH dell'acqua da utilizzare per gli impasti
Buongiorno dottoressa Lauri, la mia domanda è inerente all'acqua, nello specifico vorrei chiederle in che misura, chimicamente parlando, la durezza e il pH dell'acqua incidono sulla corretta gestione di un impasto e come cambia il risultato della massa qualora l'acqua utilizzata per impastare venga preventivamente sottoposta a bollitura e raffreddamento. Grazie infinite.
Buongiorno a lei. Mediamente il pH dell'acqua è compreso all'interno del range definito della "neutralità" 6.8 - 7.2 con appunto valori che variano in base a differenti fattori tra i quali non ultimo la presenza di gas all'interno come ad esempio l'anidride carbonica ecc., che può dare origine a acidi deboli che dissociandosi modificano leggermente il valore del pH. Per quanto riguarda l'implicazione nella specifica produzione di un prodotto dell'Arte Bianca e, non in senso assoluto come paramentro chimico fisico della stessa acqua, seppur importante, risulta un valore abbastanza trascurabile rispetto alla presenza di altri acidi prodotti e dissociati, la cui concentrazione di ioni idrogeno influisce sulla variazione e determinazione del valore del pH. Un discorso invece un pò differente è quello relativo al residuo fisso.Quest’ultimo parametro valuta quantitativamente il contenuto dei sali di un’acqua come residuo che rimane dopo aver evaporato 1 litro di acqua a 180°. In funzione di questo parametro le acque minerali sono classificate in:Minimamente mineralizzate (residuo fisso < 50 mg/l.),Oligominerali (residuo fisso 50-500 mg/l), Minerali (residuo fisso 500-1000 mg/l),Ricche di Sali minerali (residuo fisso > 1500 mg/l). L’acqua quindi è definita come una soluzione molto diluita di sali e in funzione di questa sua caratteristica e in base alla quantità di sali presenti, in particolare Sali di calcio e di magnesio, l’acqua è indicativamente classificata in: dolce, moderatamente dura e dura,la cui durezza si esprime in gradi Francesi (°F). Dolce quando la durezza è <100 mg/l di carbonato di calcio quindi < 10°F, Moderatamente dura con durezza compresa tra 100 e 200 mg/l quindi con gradi francesi compresi tra 10 e 20, Dura quando la durezza è >200 mg/l di carbonato di calcio quindi >20°F. Più un acqua risulta dura quindi, più aumenta la tenacità del network glutinico per la formazione di legami, di natura differente, tra gli ioni disciolti e la parte variabile degli amminoacidi implicati nelle strutture proteiche. Un saluto cordiale e sempre a disposizione
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Parametri biga
Buonasera Dottoressa,
Sono un pizzaiolo a cui piace lavorare con la biga e siccome ad oggi l'unico parametro che ho per misurare la maturazione è il pH volevo sapere se ci sono altri sistemi sempre di misurazione o parametri diversi da considerare? Ultima cosa considerando un pH tra 5 e 5,2 di una biga fatta con Lievito di birra, tale valore esprime sempre una maturazione ottimale? Le chiedo questo perché mi è capitato di raggiungere questo pH in bighe di 10 ore. Grazie mille per la disponibilità. Cordiali saluti.
Buongiorno. Personalmente la misurazione del pH, per quanto riguarda la biga, la faccio molto raramente. Prima di tutto parto con la valutazione di quante ore di maturazione deve subire la biga 24 o 48 e successivamente con la valutazione della farina che più soddisfa le esigenze produttive in base proprio ai tempi di maturazione, temperatura, tempi di impastamento ecc.. Non faccio mai variare la quantità di nessun ingrediente ne in estate ne in inverno: 44 - 45% di acqua e 1,0% di Lievito fresco e lo stoccaggio/ maturazione avviene sempre a +18°C. Nel caso non fosse possibile mantenere questa temperatura (soprattutto in estate/inverno!) di maturazione si opera su altri fattori che possano garantire l'optimum di maturazione anche nei mesi più caldi o più freddi. Attenzione molto particolare deve invece essere posta, come parametri fisici, alla tempistica di impastamento, temperatura di stoccaggio e temperatura della stessa biga a fine impastamento. Un altro fattore determinante è la temperatura dell'acqua da utilizzare ricavabile dalla formula 55 - temperatura dell'ambiente di stoccaggio - temperatura della farina. Come può notare il pH quasi non lo considero perchè non rappresenta un parametro determinante e specifico della qualità di una biga a livello artigianale. Il concetto di pH in chimica riguarda la misurazione della concentrazione degli idrogeno ioni in soluzione per cui non è quasi mai un indice assoluto di perfetta riuscita/maturazione della biga. E' funzione del grado di dissociazione degli acidi presenti la quale a sua volta è funzione della temperatura ecc.,ma non identifica assolutamente la specifica chimica dell'acido.(acido acetico, butirrico, propionico ecc.) Questo vale soprattutto per la madre. Come parametro indicativo di massima va bene ma non come unico, specifico ed assoluto valore. Grazi per il suo quesito
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Biga con Lievito Madre
Buongiorno Dottoressa,
Ho letto in un precedente intervento che consiglia nella biga di LM di aggiungere lo 0,8% di lievito di birra.Vorrei sapere questo a che scopo e che prodotto andremo ad ottenere. In particolare il rapporto lieviti/batteri quanto sarà a quel punto? E il prodotto finito in cosa differirà da un prodotto realizzato completamente con LM? Grazie per la sua disponibilità.
Buongiorno a lei. E' impossibile parlare a livello artigianle di rapporto di lieviti/batteri lattici senza una precisa ed idonea identificazione microbiologica con conta delle due colture. Non si può casualmente dire ed esprimere valori UFC/g senza una adeguata conta di colonie ne parlare pertanto di rapporto in quanto troppo soggetto a variabili casuali sia microbiologiche, chimiche, biochimiche, fisiche, ecc. I valori che a volte riporto, sono una diretta conseguenza di analisi microbiologiche eseguite sullo specifico campione del LM oggetto dell'articolo, ricerca, ecc. Tali risultati non valgono in assoluto per tutti i LM, non solo ma quella stessa madre esaminata, nell'arco di un mese, presenta caratteristiche microbiche differenti in conseguenza dei rinfreschi effettuati, condizioni operative, ecc. C'è una differenza sostanziale tra la biga con LM e il LM stesso tal quale soprattutto per lo sviluppo di colture microbiche molto differenti. Tendenzialemnte in un LM (non inquinato con aggiunta volontaria di LB) vi è una concentrazione di batteri lattici superiori ai lieviti (in caso contrario perderebbe il suo significato di lievito di pasta acida) mentre in una biga con LM vi è una aggiunta di LB abbinata a LM. I due prodotti hanno caratteristiche microbiche e sensoriali differenti. Cordiali saluti.
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Ammissibilità carbone vegetale(E153)
Alla luce di quanto scritto nella nota del Ministero della Salute del 28/12/2015 :OGGETTO: Prodotti della panetteria con aggiunta di carbone vegetale
Con riferimento alla questione di cui all’oggetto, tenuto conto delle numerose richieste di
chiarimento, pervenute dalle varie associazioni di categoria, circa la crescente diffusione sul
mercato di prodotti della panificazione connotati dalla presenza di carbone vegetale (c.d.
“pane nero”), accompagnata da differenti modalità di presentazione del prodotto, per parte di
competenza si rappresenta quanto segue.
Alla luce delle vigenti disposizioni normative in materia si ritiene che:
1. è ammissibile la produzione di un “prodotto della panetteria fine” denominato come tale,
che aggiunga agli ingredienti base (acqua, lievito e farina), tra gli altri, anche il carbone
vegetale come additivo colorante e nelle quantità ammesse dalla regolamentazione europea in
materia (Reg. CE 1333/08 All. II Parte E);
2. non è ammissibile denominare come “pane” il prodotto di cui al punto 1, " Qual è la panetteria fine? Grazie, saluti.
Buongiorno a lei. Grazie per la domanda molto interessante. Mi scusi ma siceramente non ho capito neanche io. Era una nota che doveva "chiarire" alcune situazioni di utilizzo lecito/illecito dell'additivo colorante E153 nel pane, panettone, prodotti da forno e prodotti da forno fini secondo l'applicazione corretta delle normative vigenti sia italiane sia europee. In realtà le complica ulteriormente in quanto NON risulta assolutamente chiaro cosa intenda il Dott. Plutino quando nomina i "prodotti della panetteria fine" (citati peraltro solo ed esclusivamente nel DPR 633/72 campi di applicazione delle differenti aliquote IVA) quando la Reg. CE 1333/08 (da Lui citata) esplicitamente riporta "prodotti da forno - prodotti da forno finii" e in nessun punto "prodotti della panetteria fine". Sarebbe molto interessante porre il quesito direttamente al Dott. Giuseppe Plutino firmatario della nota del Ministero della Salute. Penso che come lei e me, molte altre persone non abbiano compreso. Un saluto e grazie
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Prima tuorli e poi burro o prima burro e poi tuorli?
Buongiorno Dott.ssa Lauri, nel leggere il procedimento di relizzazione del panettone di diversi grandi pasticceri, ho notato che spesso l'ordine di inserimento degli ingredienti differisce. Sarebbe così gentile da spiegarmi che ruolo hanno ingredienti fondamentali quali tuorlo e burro, e cosa cambia se viene inserito prima l'uno o l'altro, o contemporaneamente in emulsione? Grazie Un saluto cordiale
Buongiorno a lei. In linea di massima, l'inserimento corretto e molto graduale degli ingredienti da lei citati nei panettoni, è il seguente: prima i tuorli e successivamente il burro. Negli altri prodotti, pane compreso, è invece il contrario prima il burro e poi i tuorli; in ogni caso dipende dalla quantità prevista dalla ricetta. Se le quantità sono significative si predilige sempre, prima i tuorli e poi la materia grassa. Il motivo per cui si opera in questo modo nei panettoni è dovuto alla differente azione che hanno queste particolari materie prime sulla strutturazione dei legami biochimici all'interno della massa. Prima i tuorli ,perchè particolarmente ricchi di lecitine e quindi con un elevato potere emulsionante che favorisce la formazione di una emulsione stabile fra i componenti non miscibili tra loro (acqua e sostanza grassa) formando un impasto omogeneo. Inoltre conferiscono al prodotto lievitato uno sviluppo migliore in termini di estensibilità ed elasticità, aumento di volume e migliore durata di conservazione. Una particolare attenzione deve essere posta invece nel momento in cui si introduce la sostanza grassa (burro) perchè, da questo momento in poi, può dipendere l'esito del prodotto, soprattutto in presenza di un impasto contenente già dei tuorli in quantità significativa. I grassi interagisco con la maglia glutinica: se venissero aggiunti troppo presto si creerebbe un vistoso rallentamento e strutturazione non corretta del network glutinico creando problemi di tenuta direttamente proporzionale alla quantità di burro o altra sostanza grassa aggiunta. Al contrario se aggiunti correttamente verso la fine dell'impasto (prima della frutta candita, gocce di cioccolato ecc., ma dopo il sale) migliorano la lavorabilità e l'estensibilità della maglia. E' chiaro che quando parlo di burro mi rifersico al burro allo stato di "pomata" nel quale è stato unito la parte aromatica (scorza di arancia, limone gratuggiata ecc.) Personalmente adotto questa tecnica: dopo aver incordato, zucchero a pioggia e miele poco alla volta, tuorli, sale, burro e sostanza grassa, frutta. E' chiaro che poi ogni professionista artigiano opera secondo una precisa scuola di pensiero o operatività personalizzata, ma il bello dell'artigiano è anche questo. Grazie per il quesito. Un saluto
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Rapporto di conversione lievito di birra e madre
Salve Dottoressa, volevo sapere come si calcola in un impasto diretto con circa 20gr di lievito di birra,volendolo invertire a impasto lievitazione mista con un 25% di lievito madre, come calcolo quanto lievito di birra devo sotrarre? Per quanto riguarda l'acqua devo calcolare l 'acqua contenuta nel lievito e nella farina? Grazie sempre più interessante il vostro sito. Volevo alcune delucidazione su qualche libro dove parla molto bene di lievito madre. Un saluto
Buongiorno a lei. Mi scusi ma non riesco a comprendere bene la sua domanda e pertanto avrei bisogno di delucidazioni:
i 20 g di lievito di birra che lei cita, a quanti chili di farina si riferiscono?
Che prodotto deve realizzare: pane, pizza, grande lievitato, pasta brioche ecc.? Le chiedo questo semplicemente perchè può lavorare sia con solo madre sia adottando proprio il metodo a lievitazione mista.
Non c'è una tabella di conversione tra quantità di lievito di birra fresco e madre utilizzata e non si opera nessuna sottrazione in peso tra il lievito. Non è possibile e non avrebbe nessun senso, almeno praticamente in un laboratorio artigianale di panificazione, calcolare il livello di contaminazione di S. cerevisiae nella madre e poter risalire ai grammi totali di S. cerevisiae presenti in 100 g di madre. Certi calcoli si fanno unicamente in un laboratorio molto specifico ed attrezzato di microbiologia, in condizioni operative molto rigorose, con scopi e modalità ben precise, ammesso e non concesso che serva sapere i grammi di S. cerevisiae in una madre in una realtà artigianale. La quantità di lievito di birra fresco da aggiungere dipende da innumerevoli fattori tra i quali:: prodotto che vuole ottenere, tempi, temperature ecc. ecc.
Per quanto riguarda invece l'idratazione totale della massa, riferita a quanta acqua devo aggiungere durante la fase di impastamento per raggiungere una certo valore totale (per esempio 50 - 60 - 70% di idratazione) di idratazione dell'impasto, si sottrae all'acqua totale calcolata dal valore percentuale della ricetta, quella già presente nella biga, poolish, lievito madre liquido, solido ecc. e si aggiunge la differenza. Il calcolo, al quale si riferiesce lei, è invece quello che si utilizza quando si fanno le rese di produzione, i calcoli sul secco, ecc., da non confondersi con la quantità di acqua d'aggiungere (acqua intesa come ingrediente) all'impasto in base alla ricetta utilizzata. Al suo ultimo quesito invece rispondo che personalmente le consiglio Pane e Pizza: due mondi un'unica passione. Un saluto e grazie
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Grissini al carbone
Buongiorno Dott.ssa ho letto recentemente che un Avvocato dichiara che nei grissini si può usare l'additivo colorante E153. Ho anche letto che lei fa perizie tecniche per i tribunali per cui le chiedo, da tecnica, è vero? Grazie per la risposta
Buongiorno a lei.
Si, l'ho letto anch'io quell'articolo e mi ha stupito. Mi trovo quindi in disaccordo completo. In virtù dell'art.6 del D.P.R.98/502 la definizione legale di grissino è: "Pane a forma di bastoncino..." non solo ma il comma 2 dello stesso articolo cosi dichiara "Alla produzione di grissini si applicano le stesse disposizioni previste per il pane dal presente regolamento e dalla Legge 4 luglio 1967/580" I grissini per la legge sono quindi e atutti gli effetti...PANE. Pertanto valgono per i grissiini TUTTE le disposizioni legislative del pane e quindi tutte le normative nazionali ed europee Reg UE 1129/2011, Reg. CE 1333/2008 ecc. In riferimento a tutte le disposizioni citate a questo link http://www.pieronuciari.it/wp/pane-e-pizza-al-carbone-vegetale-la-legge-in-vigore-non-lo-consente/ e ribadendo le risposte a molte altre domande sull'argomento, poste appunto in questa sezione SOS online, concludo dicendo che l'utilizzo dell'additivo colorante E 153 nei grissini è VIETATO. Cordiali saluti
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Metodi e procedimenti per la fermalievitazione
Gentilissima Dott.ssa Simona Lauri,
vi chiedo alcuni dettagli in merito alla metodologia della fermalievitazione in panificazione.
Partiamo dall'argomento più pungente a suo avviso per una corretto svolgimento dei lavori (produzione giornaliera fascia oraria 6-13) di tutti i prodotti da forno pane,panini,ciabatte,rosette,pizze, focacce,ecc,ecc il secondo una sua considerazione prettamente professionale consiglia il metodo diretto o indiretto che percentuali di lievito fresco devo usare?
La seconda domanda sempre inerente il tema produzione di pane io utilizzo la Biga con maturazione 24 ore - dopo relativo impasto,puntata,e formatura il prodotto quanto tempo deve rimanere fuori per avere una buona e corretta lievitazione (utilizzo biga 30% sul peso della farina).
Grazie.
Buongiorno a lei.
Non deve modificare il suo routinario metodo di lavoro se utilizza la cella fermalievitazione, ma solamente apportare delle leggere modifiche: farina circa 330<W<350 e 0.40<P/L<0.60, riduzione di circa 20% dei tempi di riposo in massa, non introduzione del malto o per lo meno usare un malto con basso potere diastasico, riduzione di 0.5 - 1.0% del lievito fresco sempre se lo usa, ecc.. Lavori con il metodo indiretto sempre. Per le % di lievito fresco, mi scusi ma non posso esserle di aiuto per email perchè dipende dal suo personale metodo di lavoro. In riferimento invece alla suo secondo quesito, anche in questo caso dipende sia dal prodotto sia dalla massa. In linea di massima, per un prodotto pane con percentuale di acqua maggiore del 60% che va in cella fermalievitazione, puo essere sufficiente un riposo in massa di circa 20 minuti. Se necessità di maggiori informazioni, cortesemente mi faccia domande molto precise perchè per post è molto difficoltoso capire il problema e dare aiuti mirati con quesiti generici. Nella speranza di aver risposto esaurientemente al suo quesito, le invio i miei più cordiali saluti.
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Panettone nero al carbone vegetale
Buongiorno Dott.ssa ho letto le sue risposte per quanto riguarda l'utilizzo del carbone vegetale nel pane e pizza. Finalmente qualcuno che ha detto che è VIETATO! Complimenti! Ho una domanda: Nel panettone lo posso usare? Vedo che stanno pubblicando ovunque foto di panettoni fatti con il carbone. Grazie a lei per il servizio.
Buongiorno a lei.
Nel settore della panificazione, ancora prima dell'entrata in vigore del Reg. UE 1129/2011 che modifica l’allegato II del Reg. CE 1333/2008, le leggi alle quali si faceva riferimento, per quanto concerne la disciplina igienica delle produzioni e vendita di alimenti, sanzioni e gli additivi alimentari consentiti, erano la Legge 283/62 e il DM 209/96 nel quale lo specifico Allegato IV riportava ben in evidenza che: Farina e altri prodotti della macinazione, amidi e fecole cosi come Pane e prodotti simili ecc. NON dovevano contenere nessun COLORANTE e l'Allegato III dello stesso DM 209/96 identificava proprio il carbone vegetale (E153) come ADDITIVO COLORANTE. La suddetta legge ne consentiva l'utilizzo solo ed esclusivamente in prodotti da forno fini oltre a quelli della confetteria.
L'entrata in vigore del Reg. UE 1129/2011 parte B ribadisce e include l'E153 Carbone vegetale nella categoria degli additivi COLORANTI. In riferimento però allo specifico settore dell'Arte Bianca, la tab. 2 dello stesso Reg. UE 1129/2011 NON consente l'utilizzo di nessun colorante in: PANE E PRODOTTI SIMILI non solo, ma in nessun ingrediente utilizzato per preparare il suddetto prodotto: ACQUA, FARINA, SALE, MALTO, ZUCCHERO, MIELE, BURRO E LATTE. Proseguendo, nell'attuale e vigente Reg. UE 1129/2011, Parte E 07 (07.1, 07.2) viene RIBADITO che - l' E153 è consentito quantum satis solo ed esclusivamente nei Prodotto da forno fini (07.2) e NON in Prodotti da forno - Pane e panini ecc. (07.1). Inoltre la Guidance document describing the foood categories in Part E of Annex II to Regulation (EC) n. 1333/2008 on Food Additives opera un ulteriore descrizione delle categorie di alimenti elencati proprio nel Reg. CE 1333/2008 operando un’ulteriore specifica proprio sui prodotti inclusi nella dicitura Cereals and cereal products (06) e Bakery wares (07).
Sulla base di dette valutazioni legali, si deduce che l'utilizzo del colorante E153 carbone vegetale nel pane, prodotti da forno, ecc. sia VIETATO. Ribadito e chiarito ancora una volta che tale utilizzo è ILLECITO e sanzionabile, nella fattispecie del Panettone (prodotto da forno) vi è una ulteriore legislazione alla quale detti prodotti devono sottostare per essere definiti tali. La normativa di riferimento è il Decreto 22 luglio 2005 nel quale (art. 1) si citano non solo gli ingredienti consentiti, ma le rispettive quantità. Inoltre faccio notare che i prodotti non conformi a tale normativa sono commercializzati non con la denominazione di vendita "Panettone" ma appunto "Prodotto da forno" (da non confondere con la denominazione di fantasia Reg. UE 1169/2011) L'addtivo E153 NON rientra tra quelli e pertanto il produttore è sanzionabile e il prodotto è VIETATO.
Nonostante l'amplificazione mediatica e pubblicitaria di detto colorante alimentare espressamente nel pane, pizza "neri" ecc. e in considerazione dell'analisi appena fatta, ribadisco che l'uso in arte bianca sia VIETATO e pertanto soggetto a sanzioni amministrative da parte degli Enti adibiti al controllo. Grazie per il quesito
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Malto nei grandi lievitati
Buongiorno! Ho un quesito da porre e grazie se dissipera' il mio dubbio. Riguardo ai grandi lievitati natalizi qual'è l'utilità del malto? Perché viene aggiunto all'impasto? Gli zuccheri presenti in ricetta nel lievitato non riescono a svolgere la stessa funzione di idratazione delle diastasi liberando il glucosio utile ad alimentare i lieviti migliorandone il potere fermentativo? Grazie!
Buongirono a Lei. Prima di tutto gli zuccheri presenti nell'impasti non agiscono sulle diastasi, ma eventualmente sul potere dolcificante, sulla colorazione ecc. Rappresentano la sostanza che viene metabolizzata dai microrganismi presenti (lattici, lieviti ecc.) durante l'intero processo che dura più di 30 ore. L'aggiunta del malto è indispensabile poichè apporta prima di tutto alfa e beta amilasi oltre che maltosio ecc. Non viene aggiunto per l'apporto di zuccheri, ma per l'aggiunta di enzimi specifici che, in impasti particolarmente grassi (burro, tuorli ecc,) e "difficili" vanno ad incrementare l'azione di quelli endogeni agendo direttamente sui granuli di amido rotti dal processo della macinazione. Il malto risulta quindi indispensabile per l'apporto di enzimi in quanto, nelle condizioni specifiche, l'azione di quelli naturalmente presenti risulta rallentata per la presenza di un elevata quantità di sostanza grassa, uvetta, canditi che rallentano appunto l' attività sia enzimatica delle idrolasi endogene sia metabolica dei microrgansimi. Tali materie prime iin quelle concentrazioni di utilizzo, formano un sorta di "film protettivo" che scherma i punti di attacco degli enzimi rallentandone proprio l'azione.
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Ceppi lievito madre in polvere provenienti dal mondo.
Salve, Dott.ssa Lauri volevo chiederle cosa ne pensa di questi tipi di paste madre essiccate e da riattivare? Si possono scegliere anche i ceppi di lieviti e batteri con cui sono state selezionate, provenienti da varie parti del mondo, per esempio ceppi di lieviti e batteri d'Ischia, dello Yukon in Canada etc...La mia domanda era relativa alla bontà o meno di queste paste acide, se effettivamente sono riattivabili e poi possono essere rinfrescate ogni tot. giorni come normalemte si fa per il lievito madre e se effettivamente questi ceppi provenienti da varie parti del mondo saranno gli stessi che il lievito conterrà anche se rinfrescherò a casa mia, che sarà cotaminata da altri tipi di lieviti e batteri.
Buongiorno a lei. Prima di tutto non c'è da fidarsi assolutamente della pubblicità su internet per tre motivi principali: primo il 90% delle volte la coltura microbioca, in termnini di specie, non corrisponde a quella dichiarata, secondo la provenienza, la tecnica adottata e gli inquinanti possono danneggarla e terzo il processo della liofilizzazione, che di per se è molto molto delicato (porta la cellula da un 75% di acqua in stato vegetativo a circa 8% in quello liofilizzato), "uccide" la maggior parte delle formiche microbiche presenti. La riattivazione è sempre molto complessa proprio perchè le pochissime forme rimaste vitali (mediamente inferiore al 20%) devono riaddatarsi alla situazione e "rinvigoririsi" prima di operare un qualsiasi processo metabolico. Per cui alla sua domanda sulla bontà, le rispondo platealmente... NON si fidi e personalemnte NON lo farei. Per quanto riguarda invece il resto beh.. una volta che è riuscita a rivitalizzare le forme microbiche presenti e iniziano a lavorare, operando il metabolismo, la madre si rinfresca seguendo le metodiche e tempistiche classiche: liquido, legato o in acqua. Ad ogni rinfresco apporta non solo sostanze nutritive e acqua per la sopravvivenza della cultura, ma soprattutto nuove forme vitali presenti appunto come contaminanti nella farina, ambiente ecc. Ogni giorno si rinnova la cultura microbica che è appunto eterogenea e mai stabile a livello artigianale. A livello industriale il discorso cambia moltissimo perchè i fattori di crescita sono monitorati ogni ora e i ceppi sono altamente selezionati da un punto di vista microbiologico. E' difficile, se non previa analisi microbiologica quali e quantitativa mirata alle madri, sapere quali specie sono presenti in una realtà sia artigianale sia casalinga soprattutto perchè il locale e l'aria sono contaminante da diversei speci microbiche (batteri, lieviti, muffe, virus ecc.) le quali, se poste in condizioni opportune, possono dare origine alla forma vegetativa e svilupparsi all'interno della sua madre. Un saluto cordiale
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Teoria maturazione
Salve, volevo cortesemente un aiuto. Si dice che usare lievito madre doni più umidità alla pizza o al pane. E' vero? Mi sa spiegare perchè? Perchè una pizza maturata 24/48 ore in forno rimane più bianca di una non maturata? Grazie per la risposta
Buongiorno a lei. Resta più umidità perchè, i batteri lattici presenti come cultura dominante, non sono forti produttori di anidride carbonica e la struttura del prodotto risultà più compatta e pesante. La produzione di una massima quantità di anidride carbonica determina, in condizione opportune di temperatura, tempo, riposi, UFC/g, ecc., alveoli molto grossi della mollica che donano, tra le altre cose, anche leggerezza. Nel pane fatto con la madre, tra i difetti tipici di questa metodica, si annoverano proprio la pesantezza, con alveolatura della mollica più chiusa e pertanto con un minor fenomeno di migrazione di aw all'interno. Questo determina un maggior quantitativo di acqua all'interno soprattutto se il prodotto è cotto in un forno a legna senza gli opportuni tiraggi del forno e valvole di apertura.
Una pizza più è maturata più per processi microbiologici e biochimici si indebolisce dei carboidrati, proteine ecc. che sono metabollizzati dai microrganismi presenti. Pertanto, tali metabolismi naturali ne riducono la quantità nella massa e la colorazione ne risente soprattutto le reazioni alla base della caramellizzazione e Reazioni di Maillard. In questo caso, ossia nel caso di maturazioni lunghe, si consiglia l'aggiunta del malto di frumento la cui percentuale di utilizzo è funzione del potere diastasico e della formulazione pasta o farina. GFrazie a lei per essersi rivolto al nostro servizio
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Tempi di maturazione impasti... quale la differenza tra pizzeria e panificazione?
Buongiorno, vorrei porle il quesito che ho enunciato nel titolo. Ormai in pizzeria si parla molto di alte idratazioni e lunghe maturazioni, ma a leggere le ricette di panificazione, sopratutto per ciò che riguarda la maturazione degli impasti, i tempi prescritti sembrano molto più brevi. Se si, a cosa è dovuta questa differenza? Non avremmo anche in questo caso una migliore digeribilità del pane prodotto? Quali i vantaggi e gli svantaggi delle due lavorazioni?
Buongiorno a lei. Giusta osservazione e la ringrazio per aver posto il quesito. Le problematiche tecniche di processo nonchè di finalità di prodotti tra i due comparti da lei citati (panificazione e pizzeria) sono leggermente differenti. Il comparto della panificazione, per esigente tecniche di prodotto nonchè di processo, finalizza l'attenzione solo sul processo della fermentazione alcoolica, lattica ecc., mentre il settore della pizza focalizza l'attenzione sul processo biochimico enzimatico della maturazione. La pizza è un prodotto molto sottile che cuoce a temperature prossime o oltre i 400°c con fiamma, basse % di lievito di birra, mentre il pane è un prodotto, a pezzature differenti anche oltre 1,5 - 2,0 Kg e forge più o meno complesse, che cuoce lentamente a temperature massime di 240°C senza fiamma, max 4% di lievito nel diretto. I due processi, che vanno di pari passo e che decidono il momento esatto dell'infornamento del pane, sono lo sviluppo del glutine e la produzione di anidride carbonica che deve essere importante e tale da creare la struttura alveolare della mollica. Si focalizza l'attenzione quindi principalmente sul processo fermentativo alcoolico per esigenze di processo anche se, nessuno ne parla, ma nel momento in cui si utilizza la cella fermalievitazione, nel prodotto avviene prima la maturazione enzimatica e poi la fermentazione proprio come nella pizza e il prodotto risulta molto più digeribile. Nella produzione della pizza, l'esigenza produttiva porta quindi a focalizzare l'attenzione prima sulla maturazione e poi sulla fermentazione alcoolica propio perchè non ci sono esigenze di mollica, strutturali ecc. In ogni caso in entrambi i settori i due processi biochimico - metabolici sono presenti anche se con priorità differenti. Grazie del quesito e buona giornata
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pasticcere
Salve riguardo alla domanda precedente mi riferisco a impasti tipo briosc, dove a volte trovandosi con una temperatura a fine impastamento più alta del solito vorrei sapere come devo gestirmi. Faccio comunque un metodo differito con una puntata della massa per circa 20 minuti ,a temperatura ambiente coperto con celofan , dopodichè formatura dei pastoni quindi inizio di lievitazione e subito in frigo per 8 12 ore per poi sfogliarli al mattino successivo. Come mi comporto nel caso mi trovo con una temperatura più alta a fine impasto? Faccio subito i pastoni e via in frigo?
Buongiorno a lei
Nella precedente email mi è sembrato di capire che la temperatura a fine impastamento a volte è di circa 3/4 gradi maggiore. Diciamo che è un pò altina per una sbaglio casuale. Se poi si ripete!! In ogni caso, quando si presenta questo inconveniente, diminuisca il tempo del riposo in massa da 20 minuti a circa 5 - 10 minuti (calcolato anche il tempo necessario per la formatura dei pastoni) I primi che prende e che avvolge avranno 5 minuti di riposo, gli ultimi magari max 10 min in base alla velocità e alla massa. Introduca immediatamente in frigor a +3 - +4°C e proceda come di consueto. Spero di esserle stata di aiuto. Un saluto
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