Hai un problema tecnico di produzione nel settore dell'arte bianca (pane, pizza, grandi lievitati, prodotti da forno in generale)? Il tuo prodotto ha un difetto? Hai bisogno di consigli? Esponi il tuo problema e Simona Lauri ti risponderà nel più breve tempo possibile.
Processi enzimatici
Salve Dott.sa Lauri,vorrei sapere se c’è una differenza tra i processi enzimatici in particolar modo delle amilasi, diastasi insomma di tutto ciò riguarda la saccarificazione dell’amido, durante la maturazione di un impasto e gli stessi processi durante una pioggia in un campo di grano.
Il chicco non ha l’amido danneggiato, questo significa che le amilasi riescono a scindere anche l’amido intero. Ma un impasto lasciato lievitare per molto tempo risulterà più bianco non avendo zuccheri disponibili ha difficoltà a colorare e sicuramente ha ancora amido che potrebbe essere scisso per liberare zuccheri semplici, forse l’acidità che si è creata durante le molte ore di lievitazione ha inibito gli enzimi?Nel seme probabilmente non si forma una acidità tale da impedirne la completa scissione di tutto l’amido o per lo meno di tutto quello che ha bisogno il germe per sbocciare.Grazie mille sempre per la sua disponibilità e professionalità.
Buongiorno a lei, il processo della saccarificazione tal quale è sempre lo stesso e avviene sempre nello stesso identico modo (a questo link https://www.quotidiemagazine.it/archivio/2016/numero-10-ottobre-2016/la-saccarificazione-dellamido-simona-lauri-ota-milano trova il dettaglio) Come e quando si avvia dipende dalle condizioni di: temperatura, ossigeno, luce, UR, maturazione della cariosside ecc. Se non si raggiungono valori di temperatura, UR ecc., tale fenomeno può restare "quiescente" per anni all'interno del seme/cariosside fino a quando sopraggiungono condizioni ambientali tali da avviare la saccarificazione dell'amido contenuto nell'endosperma. A pag. 4 sulla testata sfogliabile https://www.quotidiemagazine.it/archivio/2019/numero-11-novembre-2019 è spiegato il dettaglio di tale azione enzimatica nel seme nella fase di pregerminazione (Imbibizione, interruzione della dormienza, incremento dell'attività delle amilasi preesintenti e sintesi ex novo dall'idrolisi delle proteine di riserva sotto stimolo ormonale, attivazione della crescita vegetativa dell'embrione) che si avvia sempre e comunque in presenza di acqua (dopo 24 - 72 h dall'imbibizione) o quando il seme tal quale aumenta la sua UR. In ogni caso la saccarificazione non è l'unico fenomeno che avviene e non deve mai essere analizzata nella sua unicità, ma all'interno di un complesso fenomeno biosintetico di pregerminazione. Se i granuli di amido non assorbono acqua, l'azione enzimatica non si avvia. Questo vale anche post germinazione cioè quando, esaurite le sostanze di riserva endogene nella cariosside, la pianta vive di vita propria (stato di autonomia) grazie all'apparato radicale e fogliare. Man mano che cresce sintetizzerà nuovo amido dal glucosio. Parte dell''amido prodotto nelle foglie è depositato transientemente nei cloroplasti durante il giorno e andrà incontro a degradazione durante la notte. Fino a quando la pianta è in campo, il grado di maturazione, le condizioni di temperatura, il rapporto giorno di sole/giorni di pioggia, umidità ambiantale, ecc., atmosferica incrementano/decrementano l'attività enzimatica. Nel momento in cui la cariosside diventa farina (azione molitoria) circa 9 - 11% dei granuli di amido interi si danneggiano (rompono) e nelle condizioni di idratazione della massa, temperatura operative della massa, temperatura ambientale, pH e UR, le amilasi endogene agiscono solo ed esclusivamente sui granuli di amido rotti posticipando l'ulteriore azione sui granuli di amido interi nel momento in cui questi assorbiranno acqua e raggiungeranno la cosiddetta temperatura di transizione vetrosa variabile da cereale a cereale; condizione che si avvia solo nelle primissime fasi della cottura. Chiaramente,essendo proteine con azione enzimatica, la loro azione ha un optimum 5,0<pH<8,5 (condizione sempre verificata in natura e nella farina 5,8<pH<6,2 in linea di massima) questo vuol dire che all'esterno dell'intervallo la loro azione è rallentata o inibita. Spero di aver ben compreso il suo quesito e di aver risposto esaurientemente. Nel ringraziarla per essersi rivolto al nostro servizio di consulenza online, cordialmente la saluto. Buona giornata
Vedi la risposta
Brioche
Salve dott.ssa;in un suo libro leggo la ricetta brioche dove,inizialmente,fa miscelare la farina il latte(10% su farina) lo zucchero e il malto,fa miscelare per 4 minuti e poi riposa 30...non ottenendo un impasto,ma rimanendo comunque uno sfarinato,volevo sapere a cosa servisse questo passaggio con riposo...poi fa mettere il 30% di riporto e 3,5% di lievito;potrei sostituirli con l inserimento di pasta madre rinfrescata e far lievitare gia formati per tutta la notte? grazie mille e buon lavoro
Buongiorno a lei, in quel caso specifico per un errore sono state omesse la caratteristiche reologiche delle farina; era squilibrata con P/L abbastanza elevato. Il passaggio specifico aveva solo lo scopo di far perdere "tenacità" alla massa. Certamente può sostituire con la madre, ma le consiglierei di operare comunque dei riposi in massa di circa 3 - 4 ore a 20°C, un riposo per 12 ore a +4°C, staglio, formatura e poi fermentazione finale dei croissant per circa 8 ore circa a 20°C. Spero di esserle stata di aiuto. Nel ringraziarla per essersi rivolto al nostro servizio, le auguro una buona giornata.
Vedi la risposta
Impastamento grande lievitato
Buongiorno dottoressa Lauri, volevo chiederle il suo parere su una finta autolisi precedente all'impasto per un grande lievitato, cioè, se mettere farina, acqua, eventualmente parte di tuorlo in macchina per un'oretta è una scelta adeguata o che produce differenze nell'impasto. Io ho provato e ho pensato che si agevola molto la formazione del glutine senza l'azione meccanica per poi impastando con il resto degli ingredienti si raggiunge l'impasto finale in modo più veloce.
Buongiorno a lei, mi scusi ma questo modo di operare è la prima volta che lo sento e non riesco a capire la motivazione tecnica. Se lavoro con una farina al massimo 360 - 380W non riesco a comprendere la logica. E' cosi semplice la lavorazione classica perchè non adottarla? Le dico di più ...un grande lievitato si può realizzare anche con 280<W<300 senza pensare di usare farine magari con W>400 che non servono assolutamente a nulla anzi creano solo problemi. Nelle produzioni artigianali si cerca proprio l'azione e l'ossigenazione meccanica e la tempistica di impastamento con un tuffante min 44 battute è circa 30 - 40 minuti perché quelli sono i tempi standard per far incorporare, senza stress, tutta la massa grassa (tuorli e burro), lo zucchero e la parte candita. Chiaramente ed è giustissimo che sia così, ognuno a casa propria su piccolissime quantità può fare tutte le prove che ritiene più opportuno, ma un conto è impastare 1 Kg di farina e un'altro entrare nell'ottica di una produzione artigiane di 1q di farina alla volta. Spero di aver compreso bene il suo quesito e ringraziandola per essersi rivolto al nostro servizio le invio i miei più cordiali saluti.
Vedi la risposta
doppio impasto o impasto dopo il rinfresco
Salve dottoressa,e come sempre infiniti complimenti a tutta la redazione. Ho una domanda da porle: vorrei sapere che differenze avrò se usando la pasta madre dopo il ciclo di rinfreschi, andrò ad operare subito un impasto completo, oppure eseguirò un doppio impasto facendo praticamente un rinfresco più sostanzioso(1-4) per poi completare l impasto dopo una decina ore (a seconda della farina);in quest ultimo caso con quali proporzioni dovrò completare l impasto? unendo il restante della farina facendo il rapporto con il lievito (ad esempio 1-7 e quindi aggiungo 3 parti di farina rispetto al lievito iniziale) oppure devo rapportare la massa del primo impasto alla farina che aggiungerò (ad esempio primo impasto uguale al 50% della farina che aggiungerò? La ringrazio infinitamente per la sua professionalità che mette a disposizione per migliorare questo settore.buon lavoro e cordiali saluti
Buongiorno a lei, il rapporto di allungo è molto soggettivo e dipende dal tipo di prodotto che vuole ottenere e della forza che deve impartire. In linea di massima, da un punto di vista tecnologico, è da preferire la tecnica dei due impasti in cui nel primo mettere farina, madre, acqua e dopo 8 -9 ore in funzione della temperatura e dello sviluppo della massa, aggiungere il resto degli ingredienti: restante farina e acqua, sale, malto ecc. Questa metodica permette di ottenere una massa con una maggior ossigenazione, miglior distribuzione dei microrganismi, sostante nutritive, maggior forza e struttura rispetto alla stessa massa impastata con tutti gli ingredienti in un' unica fase. I professionisti artigiani operano, la maggior parte delle volte, con una sola fase (un solo impastamento) perché non hanno il tempo (dato il numero degli impasti e dei prodotti giornalieri) per affrontare due impastamenti (intesi come due volte la fase processo - Impastamento) sullo stesso impasto, consapevoli del fatto che questo va a discapito della struttura, sviluppo, ecc. della massa. Nella speranza di aver risposto esaurientemente al suo quesito, le invio i miei più cordiali saluti.
Vedi la risposta
Abbattimento panettone crudo
Buongiorno, sono a chiedere, se secondo la sua lunga esperienza ha mai surgelato un impasto crudo per panettoni oppure panettoni formati crudi.Ringraziandola anticipatamente. Cordiali saluti
Buongiorno a lei, mi dispiace ma non ho mai provato a surgelare un impasto per panettoni. Ho adottato la tecnica del freddo qualche volta, per esigenze tecniche, tra il primo e il secondo impasto e qualche volta anche in fascia ma la "surgelazione" ...mai, mi dispiace non riesco proprio ad aiutarla. Grazie per la stima e per aver posto il quesito. Buona giornata.
Vedi la risposta
Lievito madre liquido di segale
Salve dott.ssa Lauri.
Vorrei farmi un lievito madre liquido di segale da zero per produrre unicamente del pane di segale che adoro.Mi puo' consigliare una procedura oppure indirizzarmi a qualche articolo affidabile per favore? Grazie ancora. E scusi il disturbo
Buongiorno a lei se vuole partire da zero per ottenere una madre 100% di farina di segale deve mantenere inizialmente questo rapporto 1:1,5 cioè per esempio 100g di farina di segale e 100 g di acqua a 30°C. Lasci riposare la miscela per min 24 ore a 30°C e proceda con nuova aggiunta di farina e acqua seguendo questo rapporto 1:1:1,5 cioè 100 g di miscela, 100 g di farina di segale e 150 g di acqua a 30°C. Proceda fino a quando non inizia a sentire note acide marcate e pungenti; mediamente ci vogliono 15 giorni. Se invece vuole accorciare i tempi, parta da una madre liquida mantenendo 1:1:1,3 (100 g madre liquida, 100 g farina di segale, 130 g di acqua) e sempre a 30°C per 24 ore. Spero di esserle stata di aiuto, in caso contrario non esiti a contattarmi nuovamente. Grazie per essersi rivolta al nostro servizio. Cordiali saluti
Vedi la risposta
lievito madre e durata carica batterica
Salve dott.ssa; ho letto che la carica batterica della pasta madre ha una vita di 3 ore a 30 gradi,dopo di che inizia a perdere forza; mi potrebbe spiegare meglio il percorso di questa carica?cosa succede nei tre rinfreschi che non succede nei rinfreschi di mantenimento? la temperatura della massa a fine impastamento sicuramente incide sullo sviluppo,a quanto deve uscire prima dei tre rinfreschi,e prima del rinfresco giornaliero? la massa deve aumentare la temperatura lentamente o deve avere una temperatura costante nelle tre ore? grazie mille per la pazienza e la sua immensa professionalità tecnica. Con immensa stima. Saluti
Buongiorno a lei, mi scusi ma dalla sua email, percepisco delle informazioni non proprio corrette. NON è scientificamente e microbiologicamente vero che "la carica batterica della pasta madre ha una vita di 3 ore a 30°C e poi inizia a perdere". Ma...chi lo ha detto e/o scritto? La microflora di una madre è costituita prevalentemente da batteri lattici e lieviti di cui i lattici, per la loro specifica attività metabolica e di sopravvivenza, adorano temperature maggiori di 35°C rispetto ai lieviti, tant'è vero che gli eterolattici in base al range di temperatura in primis possono modificare il rapporto lattico/acetico ecc. Una madre (dipende dallo stato: solido, liquido, ecc.), 3 ore a 30°C può anche non partire se è debole, ma comunque mai morire. I tre rinfreschi di una madre solida,distanziati di 4 ore e posta a 28 -30°C, sono effettuati per aumentare la forza. Per le madri, abituate a "lavorare", quindi ad essere regolarmente rinfrescate quasi tutti i giorni, non necessariamente si operano tre rinfreschi consecutivi; possono bastare due. In ogni modo tutto è relativo perchè sarà l'artigiano, in base agli aromi e alla forza da impartire alla madre, a decidere il rapporto degli allunghi e il numero dei rinfreschi di forza (che non sono quelli di mantenimento) per usarla nei grandi lievitati. La massa non avrà mai una temperatura costante a cuore, perchè tutte le reazioni sono esotermiche per cui liberano calore; la temperatura a cuore si innalza seppur sia mantenuta a temperatura costante. Questo è il motivo per cui si valuta sempre la temperatura a cuore. Nella speranza di essere stata abbastanza chiara e nel ringraziarla per essersi rivolto/a al nostro servizio le auguro una buona giornata.
Vedi la risposta
Primo impasto grande lievitato
Buongiorno dottoressa;cosa s'intende per “bianco” nella definizione del primo impasto di un grande lievitato?ci sono delle proporzioni da rispettare perché sia definito tale? Ho letto nei suoi libri che il giusto rapporto madre/farina nel panettone/colomba debba essere di 1:5;vedo pero che alcuni maestri lo riducono a 1:2,5-3;cosa cambia? Grazie per la vostra disponibilità e stimabile professionalità messa a nostra disposizione gratuitamente a tutti.
Buongiorno a lei, "bianco" è una definizione che generalmente è data (più per abitudine gergale che per altro!), dai panificatori per cosi dire con i capelli bianchi, al primo impasto di un grande lievitato, perchè o non aveva "rosso"/ tuorli o ne conteneva pochissimo, in quanto le uova non erano in abbondanza. E' un modo di dire, tramandato da generazione in generazione, che risente e evoca la situazione economica italiana post bellica. Non potevi appesantire il primo impasto perché la farina nazionale era debole e non teneva! Dopo la seconda guerra mondiale arriva in Italia la farina canadese ecc., e la situazione poco per volta cambia. Oggi, nell'epoca dell'abbondanza; parlare di "bianco" è solo un ricordo (per fortuna!) e le ricette sono molto ricche sia di tuorli sia di burro sia di uvetta sia di varie farciture. La ricetta è molto soggettiva e ogni artigiano ha la sua; generalmente è bilancia sul modo di gestire la madre e quindi sugli aromi ecc. Non c'è una ricetta unica, ogni artigiano ha la sua, d'altra parte l'artigianalità del prodotto è proprio questa. Nel ringraziarla per essersi rivolto al nostro servizio di consulenza online, le invio i miei più cordiali saluti
Vedi la risposta
Acqua troppo calda
Buongiorno dottoressa; ho letto che inserire acqua troppo calda nell' impasto causa una crosta troppo chiara in cottura,oltre che una problematica tecnica nella formazione della maglia;potrebbe spiegarmi il perché di questa reazione...facendo il calcolo della temperatura dell'acqua c è un massimo di temperatura da dover rispettare oltre il quale non si può andare? Ringrazio lei e tutta la redazione per l'immensa professionalità e consulenza gratuita. Con stima,cordiali saluti
Buongiorno a lei, la temperatura dell'acqua è uno dei fattori determinanti il processo così come la temperatura dell'impasto, del locale ecc. La formula che si consiglia di applicare (con tutte le limitazioni date dal calcolo matematico soprattutto nel caso di preparazione della biga) permette di calcolare sempre il valore della temperatura dell'acqua da utilizzare in qualsiasi situazione: impasto diretto, indiretto, biga, poolish ecc., proprio perchè da esso dipende l'andamento dell'intero processo. Se, in teoria, non c'è un limite per il valore minimo della temperatura dell'acqua (il limite è lo stato fisico dell'acqua!) non posso dire la stessa cosa per il valore massimo. Il riferimento è comunque la temperatura della massa a fine impastamento che in inverno, per impasti nei quali è stata aggiunta una quantità di acqua maggiore o uguale al 70%, può essere 28 - 29°C dal quale poi si ricava il valore della temperatura dell'acqua. E' abbastanza intuibile e prevedibile che se utilizzo acqua a 45 - 50°C, l'impasto a fine impastamento, in conseguenza degli attriti meccanici, della temperatura della farina usata, ecc., avrà una temperatura troppo alta e pertanto incompatibile con: sopravvivenza del S. cerevisiae (muore a 45 - 50°C), sopravvivenza alcune specie di LAB, denaturazione proteica, denaturazione proteine con funzione enzimatica, raggiungimento temperatura transizione vetrosa e rigonfiamento granuli di amido, ecc. ecc. Il valore massimo di temperatura dell'acqua da rispettare è quindi quello ricavabile dall'applicazione della formula. Il problema della colorazione della crosta "troppo chiara" (se fosse solo quello!) passa decisamente in secondo piano rispetto ai danni biochimici, microbiologici e chimico fisici che creo all'interno della massa. Spero di essere stata abbastanza chiara e nel ringraziarla per la stima e la preferenza accordateci, le invio i miei più cordiali saluti.
Vedi la risposta
Uso del frigo per impasto pane
Dott. Lauri buona sera, vorrei mettere la massa in frigo per 6 ore, poi spezzo,formo e lievitazione ambiente per 3 ore circa. Cosa ne pensa? Può migliorare l'alveolatura di un pane di semola? Grazie ancora per la sua immensa competenza, professionalità e disponibilità. Buona giornata.
Buongiorno a lei, la decisione di lavorare con la tecnica del freddo è una prassi molto comune. Rispetto ad un processo standard, permette di ottenere un prodotto più gestibile da un punto di vista prettamente logistico. A livello professionale artigianale deve apportare delle piccole modifiche: Lavorare con una percentuale di S. cerevisiae notevolmente inferiore, accorciare i riposi in massa, infornare circa 10 - 20°C in meno rispetto allo standard, far asciugare 15 minuti a t.a. le forme di pane per evitare le micro bolle ecc. Mi scusi ma dalla sua email non mi sono ben chiari alcuni punti: quanti chili è la sua massa, l'effettiva temperatura del frigorifero, se ha circolazione d'aria e umidità e soprattutto in quale contenitore (in riferimento al materiale plastica, acciaio, ecc.) sia contenuta, per cui non riesco a comprendere pienamente se i tempi e la temperatura siano indicati. Inoltre, deve valutare che in massa la penetrazione del freddo a cuore è più lenta rispetto un panetto per cui, in termini di tempo, si può tradurre in qualche ora; nel frattempo, l'impasto aumenta il volume per l'attività metabolica dei microrganismi che seppur rallentata è comunque presente. In linea di massima, a grandi linee, la tecnica del freddo, a livello professionale, non si fa per migliorare l'alveolatura, ma per gestire più agevolmente e in contemporanea masse di diversi quintali. In ogni caso, a livello amatoriale e casalingo se vuole migliorare l'alveolatura della mollica, deve mettere la pagnotta già formata in frigorifero non la massa tal quale. Cosi facendo sfrutta alcuni principi chimico fisici che ho descritto a questo link https://www.quotidiemagazine.it/sos/cottura-frigo-forno. Spero di aver risposto esaurientemente al suo quesito e ringraziandola per essersi rivolto al nostro servizio, le invio i miei più cordiali saluti.
Vedi la risposta
pasta madre e farina per impasto
Salve dott.ssa,quali problematiche tecniche e chimico-fisiche si potrebbero avere se usiamo la madre(rinfrescata in modo opportuno con giusta farina) in un impasto successivo dove si usa una farina con 250W p/l 0,6?(quindi leggermente debole per impasto indiretto giusto?) Grazie per il vostro lavoro e contributo costante e senza sosta...il calore e l' amore per l' arte bianca ci aiuterà a passare anche la solitudine data da questo virus...e visto che si può uscire poco e lievito di birra non si trova nei supermercati,viva il lievito madre che ci riavvicina ai nostri nonni e ci permette di dare la continuità a quest arte,ritrovando la complessa semplicità ed i buoni sapori e profumi di una volta. Un forte abbraccio di incoraggiamento a tutti
Buongiorno a lei, per quanto riguarda la situazione "Virus" si tratta di avere tanta pazienza, stare a casa e godere delle nostre passioni e trovare sempre il lato positivo. Per quanto riguarda invece il pane, nessun problema. La farina da lei descritta, almeno sulla carta, è ottima anche per lavorazioni con madre; si tratta solo di accorciare i tempi di lavoro a parità di madre usata e di temperatura. Si comporti come di consueto. Grazie a lei per aver postato il quesito. Un saluto cordiale e sempre a disposizione.
Vedi la risposta
Cottura frigo-forno
Salve dott.ssa Lauri.Vorrei chiederLe cosa può dirmi della tanto chiacchierata cottura frigo-forno.E' una procedura corretta? Può essere utile in alcuni casi? Grazie a lei per la professionalità indiscussa e per il servizio ineccepibile che offrite. Complimenti a tutti. Grazie mille.
Buongiorno a lei, la tecnica freddo - forno è una tecnica molto collaudata tra i professionisti panificatori francesi già da decenni. Non è assolutamente una novità. E' una tecnica che sfrutta alcuni principi chimici e chimico fisici spiegabili dalle ben note Leggi dei gas in particolare dalla Seconda Legge isocora di Gay-Lussac, la quale afferma che "a volume costante la pressione di un gas è direttamente proporzionale alla sua temperatura assoluta". A sua volta la seconda legge non è altro che la deduzione e diretta conseguenza della prima legge sempre di Gay-Lussac. Pertanto, secondo Gay-Lussac, all'aumentare della temperatura, le particelle di gas interne alle singole bolle aumentano la loro energia cinetica media, ma rimanendo il volume costante, aumentano il numero degli urti sulle pareti e quindi esercitano una maggior pressione. Come per la prima legge, per ogni aumento di 1°C di temperatura, la pressione aumenta di 1/273 rispetto alla pressione iniziale. Pertanto, è possibile calcolare la pressione o la temperatura di un gas, a volume costante dalla ben nota relazione P1/T1=P2/T2. Le due leggi di Gay-Lussac, abbinate alla legge di Boyle, permettono di mettere in relazione la temperatura, la pressione e il volume di un gas nella relazione P1V1/T1=P2V2/T2. Da ciò si aggiunga anche la legge di Avogadro con la quale Avogadro dimostrò che il volume di un gas non dipende dalla sua natura ma solo dal numero di moli quindi dal numero delle particelle. Boyle, Gay - Lussac e Avogadro furono quindi i padri della celeberrima legge dei gas PV=nRT, valida anche per la miscelazione di più gas (legge di Dalton) purchè non in reazione chimica tra di loro. All'interno di una massa di pasta, parliamo sempre di una "miscela" di gas che derivano sia dall'aria inglobata, sia dalle reazioni chimiche e biochimiche che li hanno prodotti sia dalla presenza di vapore acqueo.Tutte le leggi che le ho riportato sono derivate da esperimenti effettuati all'interno di recipienti a tenuta e pertanto, nonostante siano rigorosamente alla base alla chimica fisica, possono mostrare qualche piccola problematica legata alla non accurata valutazione delle grandezze per la non "perfetta tenuta stagna" del "contenitore" impasto. (maglia viscoelastica permeabile) Fatto salvo, però, tutte queste leggi, si può dedurre che abbassando la temperatura (frigor) e poi introducendo nel forno si crea un ampio gradiente di temperatura nell'unità di tempo (maggiore di 200°C) che fa sviluppare, ai gas interni, elevati valori di pressione che si traducono in un aumento repentino di volume, dimensioni degli alveoli, ecc., riferiti alla stessa unità di tempo di un impasto con conduzione classica. Questo è possibile solo se la massa è introdotta in frigorifero non al culmine estremo della fermentazione proprio per permettere la maggior espansione viscoelastica successiva. Se abbatte la temperatura dell'impasto al massimo della fermentazione, il freddo causerà un collasso della struttura, con l'inevitabile fuoriuscita dei gas di fermentazione, abbinata a una maggior solubilità degli stessi nell'acqua dell'impasto. L'elevato gradiente di temperatura agirà quindi sia sulla solubilità di gas (riducendola e liberando i gas disciolti) sia sulla pressione interna. A livello professionale, i problemi con questa gestione possono essere: difficoltà a gestire il momento esatto dell'introduzione in frigorifero della massa (si può rischiare sia il collasso sia il mancato sviluppo sia una pesantezza con struttura più chiusa della mollica) per mancanza di esperienza, micro bolle superficiali sottopelle e una colorazione rossa molto marcata sulla superficie per effetto del freddo (rosso da freddo) in contrasto quindi con le Misure di attuazione e livelli di riferimento per la presenza di Acrilammide nel pane e prodotti da forno riportati nel Reg. UE 2158/2017 ai quali i panificatori professionisti artigiani si devono attenere. Spero di essere stata abbastanza chiara e ringraziandola per la preferenza accordatami, le invio i miei più cordiali saluti.
Vedi la risposta
"Biga fredda"
Buongiorno, ho già fatto altre domande e sono state molto esaustive e utili. Vorrei provare a fare un impasto per pizza simil napoletana idratato al 70% e con un preimpasto (tipo Biga) al 20/30%. Non avendo un fermabiga e cercando un prodotto sempre uguale ho visto che alcuni pizzaioli fanno un preimpasto e lo mettono in frigo a 4°C dopo 2 ore a t.a.,cercando in internet ho visto che in effetti esiste la Biga fredda che è simile alla Biga ma va quasi subito in frigo, potremmo darmi delucidazioni, metodo di impasto e idratazione di questa Biga fredda (o pre impasto)? Come farina un 300W con p/l di 0.7 potrebbe andar bene? In linea di massima secondo lei è un procedimento che potrebbe dare un buon prodotto? Consiglia eventualmente del malto e se si in che %?
Buongiorno a lei, mi scusi ma vorrei fare una semplicissima e doverosa precisazione: non esiste la biga fredda, la biga calda, la biga acida, la biga ghiacciata ecc. Il concetto di "Biga" è uno ed uno solo. E' un impasto realizzato unicamente con: farina, 44 - 45% di acqua e 1% di lievito fresco. Per esigenze di processo, tecnico-scientifiche, la produzione della biga, nella sua semplicità, nasconde moltissime insidie tra le quali la non facile valutazione del corretto ed ottimale tempo di impastamento, maturazione, ecc. In linea di massima, la conduzione standard ottimale è max 24 ore a 16°C (estate) 18°C (inverno). Se per esigenze tecnico produttive si ha la necessità di allungare la fase di maturazione o stoccaggio della stessa oltre le 24 ore, per esempio 30 ore, si procede mettendo per le prime 6 ore la biga a +4°C e successivamente le restanti ore a 16 - 18°C. La maturazione della biga può anche essere inferiore a 24 ore, a parità di temperatura e parametri di processo, ma cambiano le caratteristiche reologiche della farina. In assenza di locali climatizzati o celle fermabiga o altro, in estate, cioè quando le temperature sono maggiori di 30°C, si opta per uno stoccaggio a +4°C per le prime ore e successivamente a t.a. Come può ben comprendere, non si può standardizzare sempre e a prescindere con un discorso universale che vada sempre bene per tutti e per tutte le condizioni, perché se non sono ben chiari tutti i parametri processo, ma soprattutto cosa si intenda per t.a., cioè se non si riporta il valore esatto (t.a. non vuol dire nulla perché la mia t.a. è diversa dalla sua!), e non si conosce la tempistica di lavorazione e tutte le variabili in gioco, non è possibile consigliare quante ore deve stoccare ( e se deve stoccare), a +4°C. In ogni caso non è una "biga fredda" ma solo per modo per gestire la fermentazione affinché si arrivi comunque all'ottimale punto di maturazione in condizioni estreme di lavoro. In linea di massima quando si lavora con bighe si aggiunge quasi sempre, nell'impasto finale, malto diastasico (a meno che non lavori con farina di segale) in percentuale compresa tra 0,5 e 1,0% sulla farina in base alle unità Pollack. Nel ringraziarla per essersi rivolto al nostro servizio di consulenza online le invio i miei più cordiali saluti.
Vedi la risposta
Autolisi a caldo
Salve dott.ssa Lauri.
Vorrei porle una domanda sull’ autolisi a caldo. Il quantitativo di acqua e farina che uso per fare l’autolisi li devo poi sottrarre al totale di farina e acqua del totale della ricetta come si fa con biga e poolish ? Grazie mille per la sua cortesia e immensa disponibilità
Buongiorno a lei, SI... si deve comportare come per il poolish e la biga cioè deve sottrarre l'acqua già usata. Un saluto cordiale e a disposizione.
Vedi la risposta
Pane di segale
Salve dott.ssa Lauri. Vorrei porle qualche quesito sul pane di segale. Ha senso aumentare considerevolmente le dosi di pasta madre solida per la produzione di questo pane ? Il vapore in cottura per questo tipo di pane serve ? Grazie per la gentilezza
Buongiorno a lei, il segreto di lavorare la farina di segale in purezza è la metodica di lavoro; questa deve essere abbastanza lunga per raggiungere valori di pH prossimi o leggermente inferiori a 4,0 e inattivare le idrolasi in quanto non contiene gliadine ma segaline. Non ha senso aumentare oltre il 20 - 30% di madre sulla farina, ma solo modificare il rapporto tempo/temperatura, allungando anche di diverse ore la lavorazione soprattutto nella prima puntata in massa. Il pane di farina di segale in purezza tal quale in cottura richiede molto vapore sia prima sia durante perché ha la tendenza a fare la crosta molto spessa e a scurirsi. Inforni in camera con abbondante vapore a 250°C, dia vapore anche più volte in cottura e poi abbassi subito il forno poco per volta fino a portarlo a 180°C per facilitare l'asciugatura ed evitare una colorazione eccessiva (acrilammide). Spero di esserle stata di aiuto e nel ringraziarla per essersi rivolto/a al nostro servizio le invio i miei più cordiali saluti.
Vedi la risposta
Biga acida
Salve dott.ssa Lauri. Potrebbe spiegarmi che cosa è una biga acida? Grazie mille anticipatamente
Buongiorno a lei, in arte bianca con il termine "biga" s'intende unicamente un impasto realizzato con: farina, 45% acqua e 1% di lievito fresco impastato pochissimi minuti e lasciato stoccare fino a 72 ore. Mi spiego meglio; da un minimo di 8 - 10 ore a un massimo di 72 ore; chiaramente i fattori che permettono la differenza di stoccaggio tra le 8 - 10 ore e le 72 ore sono: la temperatura di stoccaggio, la forza della farina e la temperatura dell'acqua da utilizzare oltre ai minuti di impastamento. Sul web, soprattutto sui gruppi social, si legge di tutto; con il sale, con il lievito secco, con 60% di acqua, impastata fino a completamento, con la madre ecc. chi più ne ha ne metta e la fantasia cosi come la disinformazione galoppa. Ho smesso di interagire per l'immensa valanga di informazioni errate scientificamente che si leggono. Se è realizzata e intesa (come tecnicamente deve essere!) come le ho appena descritto, la biga NON può e NON deve essere acida anzi si deve percepire alcool etilico e anidride carbonica. Per cui se restiamo in questa ottica, cioè nella tecnologia, nella scienza e nei processi dell'arte bianca, la definizione di "biga acida" NON esiste. Per il resto... sono curiosa di saperne di più! Nel ringraziarla per la preferenza accordata al nostro servizio, le invio i miei più cordiali saluti.
Vedi la risposta
Pane e lievito naturale
Buongiorno Dottoressa Lauri, mi piacerebbe capire un pò meglio l'utilizzo del lievito madre (in purezza) negli impasti pane. Ho usato varie volte il lievito in crema con ottimi risultati, anche il lievito solido convertito in ulteriore prefermento poolish. Quello che non mi riesce è entrare nell'impasto con lievito madre solido tale quale (ovviamente rinfrescato). Non mi interessa essere radicale nel fare pane senza usare anche lievito compresso, più che altro vorrei capire meglio. Comunque persone del settore mi hanno spesso detto che il lievito madre solido non si usa molto tale quale in purezza per fare pane. Grazie per l'attenzione che ci riserva sempre
Buongiorno a lei, ma chi l'ha detto che non si usa la madre solida in panificio. Chi? La madre solida in panificio si utilizza da sempre da che c'è storia anzi più della liquida; Qui metto un paletto incontestabile (testimoniato da trasmissioni televisive, interviste, media ecc.) nonché orgoglio di panificatore artigiano che ha partecipato ad un progetto federale nel 2010 divulgando prodotti realizzati con la madre liquida nell'ambiente dei panificatori artigiani e a quanto, allora (2010), gli artigiani panificatori non fossero ancora pronti a questa innovazione. Non mi riferisco alle pubblicazione scientifiche sulle madri liquide che sono antecedenti, ma all'utilizzo pratico nel settore della panificazione artigianale. Ora, la lavorazione della pasta madre solida è decisamente lunga e laboriosa e non tutti all'inizio riescono a raggiungere i risultati sperati soprattutto quando si altera il profilo sensoriale e non si è in grado di correggere. La madre liquida è molto più facile da gestire e semplicissima da usare,(la semplicità in questo caso nasconde anche qualche insidia!). Non conosco le motivazioni che la spingono ad usare in purezza la madre ma se questa fosse dettata dal fatto che "non contiene S. cerevisiae" le chiedo scusa , ma la devo smentire assolutamente con la scienza. Immensa bibliografia scientifica disponibile anche in rete attesta che lo screening/identificazione microbiologica condotta sulle madri artigianali presenti sul territorio italiano rivela la presenza in forma viva e vitale, in simbiosi stretta con un lattico, del S. cerevisiae in quanto contaminante. Se il problema riguarda la sequenza degli ingredienti da inserire nell'impastatrice proceda introducendo all'inizio nella vasca dell'impastatrice la madre solida subito sulla farina e poi proceda come di consueto, aggiungendo il sale in seconda velocità. Nella speranza di aver ben compreso il suo quesito e nel ringraziarla per essersi rivolto al nostro servizio di consulenza online, le auguro una buona giornata.
Vedi la risposta
Alveolatura panettone
Buongiorno dott.ssa, oggi sono a chiederle aiuto in merito alla produzione di panettoni per i quali non riesco ad ottenere un alveolatura adeguata, pur essendo sviluppo e gusto eccellenti. Seguo la ricetta del maestro Giorilli, della quale rispetto non solo ingredienti e sequenza di impastamento ma anche tempi e temperature di lievitazione, lavorando con una spirale. In particolare le chiedo da cosa può dipendere il fatto che l'alveolatura è molto piccola, a tratti assente? Ho ipotizzato il lievito madre, anche se come già anticipato alle temperature consigliate i tempi coincidono (ad esempio la lievitazione in stampo procede come previsto). Grazie comunque per il suo lavoro.
Buongiorno a lei sono mortificata ma le risposte a questo quesito possono essere molteplici e non posso procedere "al buio". Dalla sua email non si capiscono nè tempi nè temperatura nè caratteristiche della madre nè impasto per cui sono nell'impossibilità pratica di aiutarla. Le consiglio di rivolgersi al Sign. Giorilli e di porre a lui questo quesito in quanto sta seguendo alla lettera una sua ricetta. La ringrazio per essersi rivolto al nostro servizio e le auguro una buona giornata.
Vedi la risposta
Impasto al Riso venere
Salve dottoressa,vorrei chiederle come procedere nel impastamento con farina di riso venere...è più appropriato tagliarla con una farina con un glutine moderato..visto che parliamo di una farina senza glutine..o utilizzarla in purezza?...in entrambi i casi quale metodica dovrei utilizzare nel impastamento...come dovrei procedere? La ringrazio in anticipo per la sua cortesia e le auguro una buona giornata.
Buongiorno a lei, la farina di riso venere (se effettivamente è uno sfarinato tal quale e non semilavorato al riso venere!) è uno sfarinato che non contiene nè gliadine nè glutenine pertanto lo può usare in percentuali variabili tagliato con altri cereali/pseudocereali specifici se desidera produrre prodotti gluten free. Nel caso in cui desiderasse produrre prodotti non gluten free è consigliabile unirlo a farina di frumento (la forza dipende dalla lavorazione e dal tempo!) e procedere con qualsiasi tipo di lavorazione diretta o indiretta, poichè è sempre aggiunto nel rinfresco finale. Quando procede con l'impastamento è sempre aggiunto all'inizio insieme agli altri ingredienti secchi. Nel ringraziarla per essersi rivolto al nostro servizio di consulenza online le invio i miei più cordiali saluti.
Vedi la risposta
Autolisi
Salve Dott.ssa ho un quesito da porle.
Volendo panificare con un impasto idratato al 65% con un mix di farine così composto:
2 Kg. di farina con W 350
1 Kg. di farina integrale.
Supponendo che l'impasto necessiti di una fermentazione (lievitazione) e maturazione complessiva di 24 ore è possibile eseguire un' autolisi di 9 ore terminando successivamente il procedimento con tempo a disposizione?
Usando 3 g, lievito disidratato, una T.A, di circa 20° e con 30 gr. di sale. Grazie per il servizio e la professionalità. Cordiali Saluti
Buongiorno a lei mi scusi ma personalmente non vedo la necessità di operare con il metodo dell'autolisi a meno di squilibri reologici importanti della farina. In ogni caso il metodo autolitico non prevede assolutamente l'unione di tutti gli ingredienti soprattutto NON prevede l'aggiunta di lievito in qualsiasi forma si trovi (fresco, disidratato, ecc.), ma eventualmente solo della farina e una parte di acqua. Usando anche la farina integrale lavori preparando una biga solo con quella e poi operi con l'allungo che desidera. Non ho capito però cosa vuol fare se pane o pizza. All'inizio parla di "panificare" e poi mi sembra di comprendere che opera una lavorazione con lievito disidratato e tempo/temperatura tipici di un impasto per pizza. In ogni modo, che operi per ottenere pane o pizza, la prima puntata in massa deve essere minimo 2,5 ore a temperatura di circa 20°C. Nel ringraziarla per essersi rivolto al nostro servizio e nella speranza di aver risposto esaurientemente al suo quesito, le invio i miei più cordiali saluti.
Vedi la risposta
Differenza tra panettone e colomba
Salve Dott.ssa;come sempre,continui complimenti a tutta la redazione per il servizio che offrite con questa testata giornalistica, per la professionalità, preparazione, passione e amore. Ho un quesito che riguarda le colombe:oltre alla ghiaccia e alla presenza o meno di uvetta,ci sono delle differenze sostanziali tra i due lievitati nei procedimenti d impastamento? Leggo per esempio che per il panettone si parte con un rapporto madre/farina di 1:2 (più o meno),mentre per la colomba 1:4(circa);c è chi invece usa l impasto del panettone cambiando solo uvetta e ghiaccia;mi potrebbe dare ulteriori spiegazioni!? Nel ringraziarla auguro a tutti voi un buon lavoro e immensa salute.
Buongiorno a lei, nel settore dei grandi lievitati, a livello professionale artigianale cosi come nel settore generico dell'Arte Bianca, non c'è una linea produttiva comune, standardizzata, disciplinata, valevole per tutti da seguire. A parte il Decreto luglio 2005 e successive modifiche che interessa la precisa denominazione legale di vendita "Panettone" "pandoro" "colomba" ecc. in base alla quantità e tipologia di ingredienti utilizzati, non vi sono altre normative che interessano il dettaglio specifico della modalità di impastamento, numero dei rinfreschi, farina/madre, ecc. La legislazione attuale lascia ampio margine di scelta per la ghiaccia, copertura, presenza/assenza di uvetta e canditi ecc., riportando molto spesso nello stesso Decreto la frase "è facoltà del produttore". Non vi sono differenze sostanziali, se non quelle riportate nel Decreto, tra le due tipologie di prodotto e pertanto è libera scelta dell'artigiano in base all' esperienza, ricetta, abitudini, consumi, ecc., operare in un modo piuttosto che un altro. Chiaramente se si utilizzano semilavorati già pronti che tra l'altro devono essere obbligatoriamente dichiarati in etichetta, viene a mancare l'estro, la fantasia, l'abilità, la personalizzazione, l'arte dell'artigiano. Un grande lievitato è la personificazione dell'artigianalità in tutte le sue forme. Spero di aver risposta esaurientemente al suo quesito e ringraziandola per essersi rivolto al nostro servizio, le auguro una buona giornata.
Vedi la risposta
Prodotti secchi e friabilità
Salve, sto cercando di produrre prodotti secchi quali grissini o schiacciate con una buona friabilità con risultati poco soddisfacenti. Mi sono già figurato da me che per avere una buona friabilità il glutine non va sviluppato eccessivamente, quindi sto provando a impastare tutti gli ingredienti in macchina insieme olio compreso che è circa un 10, 15% sulla farina. Pur con questi accorgimenti non riesco a ottenere prodotti con una buona friabilità sono sempre molto croccanti.
1.Uso il malto in pasta in quantità di circa 1% sul peso della farina (mi risulta che aiuti la friabilità) potrebbe essere meglio quello in polvere o aumentare la quantità?
2. L'uso della biga al posto dell'impasto diretto porta qualche differenza dal punto di vista della consistenza?
3. Può darmi qualche delucidazione su cosa consista la tecnica della sfogliatura sempre riferita alla produzione di prodotti secchi?
4. L'uso della doppia cottura le sembra appropriato, di solito faccio una prima cottura a temperatura medio alta (180 / 200°) in forno ventilato poi lascio raffreddare e ne faccio un altra a 150 - 160° in forno ventilato.
5. Cosa ne pensa dell'uso di emulsionanti quali la lecitina?
Mi rendo conto di aver fatto molte domande e, ringraziandola anticipatamente le faccio i complimenti per la sua testata giornalistica, per il tempo e per l'assistenza professionale completamente gratuita.
Buongiorno a lei La sua email contiene veramente troppe domande e per rispondere a tutte avrei bisogno di diverse pagine perché tutte molte impegnative. Pertanto mi scuserà se mi limito a risponde solamente ad alcuni quesiti e in modo abbastanza schematico e per elenco puntato. Per migliorare la friabilità deve usare:1. strutto 2. farine deboli 3. ridurre la percentuale di olio di oliva al max 2% 4. il malto non agisce assolutamente sulla friabilità 5. la doppia cottura non migliora la friabilità. 6. L'uso della biga impartisce forza che non sempre è compatibile con quella tipologia di prodotto. Nel ringraziarla per essersi rivolto al nostro servizio di consulenza online e per la stima nei nostri confronti, le invio i miei più cordiali saluti.
Vedi la risposta
Lieviti intolleranza
Buon giorno, mi scusi esiste l' intolleranza al lievito di birra? Grazie a lei
Buongiorno, le rispondo senza pensarci un attimo... NO secco! Esiste l'ALLERGIA al lievito dimostrata scientificamente con analisi particolari, ma assolutamente non l'intolleranza. E' una "bufala". Il termine "intolleranza" è usato molte volte come scusa, alibi, moda o altro per non investigare su altre problematiche. E' molto facile e/o sbrigativo, in presenza di sintomatologia legata a produzione intestinale di gas, accusare il lievito S. cerevisiae. Tale problematica richiede indagini diagnostiche particolari che escludono tutte a priori la produzione a livello intestinale di gas da parte dello stesso S. cerevisiae in quanto... morto (non vivo, non vitale!) nei prodotti di arte bianca. In ogni caso, non essendo un medico, ma un tecnologo alimentare non mi inoltro in settori di cui non ho le competenze specifiche. Le metto pertanto il link https://www.facebook.com/search/top/?q=intolleranza%20al%20lievito&epa=SEARCH_BOX in cui può trovare uno scritto del Dott. Antonio Pacella su tale argomento. Spero di esserle stata di aiuto e la ringrazio per essersi rivolto al nostro servizio di consulenza online. Un saluto cordiale
Vedi la risposta
Problemi di pizza in pala dalla mollica cruda
Buongiorno Doott.ssa, ho avuto problemi con la cottura delle pizze in pala e focacce con impasto ad un 80 per cento di idratazione in quanto le focacce cotte a 270°C per 5 minuti a valvola chiusa con vapore per 10 secondi e 7 minuti a valvola aperta, si presentavano molto colorate e fuori ma praticamente quasi gelatina dentro.
La procedura dell'impasto è stata di un autolisi a 3 ore estremamente grezza e al 70 per cento di idro con 8 minuti in prima velocità e 8 in seconda a spirale. Poco più di un grammo di ldb e 0,5 per cento di malto diastasico sciolti in poca acqua tiepida, 3% d'olio in prima velocità e restante parte d'acqua.
Pieghe a non finire appena chiuso l'impasto, frigo a 4 gradi, pieghe dopo a volontà dopo un ora, altre 12 ore di frigo più altre due pieghe, spezzatura dopo due ore e a panetti raddoppiati in frigo e un venti minuti a temperatura ambiente al raggiungimento di 16 gradi informati.
Quale potrebbe essere stata la causa del disastro? O meglio il passaggio sbagliato?
Troppe pieghe?
Malto sciolto in acqua forse troppo calda?.
Grazie mille e complimenti per la vostra rubrica.
Buongiorno a lei, mi scusi ma non riesco a capire bene: ha riportato le percentuali degli ingredienti ma poi scrive "poco più di 1 g di ldb" a quanti Kg di farina si riferisce? E' lo 0,1%?. Non riesco a comprendere nè la tipologia dei farina usata nè le proprietà reologiche della stessa, nè la pezzatura, nè le unita Pollack del malto (onestamente e per email non penso sia quello il problema!). Mi sembra molto strano che debba procedere con così tante pieghe di rinforzo per cui, dalla descrizione, mi sorge il dubbio che l'impasto sia eccessivamente debole o per la metodica autolitica troppo lunga o perchè troppo freddo. Perchè la massa è così fredda prima dell'infornamento? Se l'impasto è freddo e debole prenderà immediatamente il "rosso" da debolezza per cui le darà il problema che lei riscontra. In caso contrario non si spiega assolutamente come, a temperatura di cottura relativamente bassa, possa prendere il rosso. Grazie a lei per essersi rivolto al nostro servizio. Un saluto cordiale
Vedi la risposta
Semola senatore Cappelli
Buongiorno dottoressa, scrivo per ringraziarla per il suo precedente consiglio di utilizzare la semola Cappelli in purezza. Il risultato, una pagnotta di circa 800g ben sviluppata in altezza e con una mollica soffice, è stato per me una vera sorpresa. A proposito di questa semola, come si spiega il fatto che il prezzo vari da 1,6 euro a oltre i 5 euro al chilo? Ad esempio il consorzio sardo vende quella coltivata in Sardegna a circa 2,5 euro il chilo, ma questa volta confesso di averne utilizzato una (senza la dicitura bio) di un noto marchio nazionale, acquistata a circa 1,6 al chilo. Nei negozi che commercializzano prodotti bio il costo è invece di 4 o 5 euro il chilo. Per me è veramente difficile orientarmi o comprendere chi tra consorzi regionali o enti nazionali tuteli gli interessi nostri e dei coltivatori!
Buongiorno a lei, mi creda la sua è una meravigliosa domanda alla quale non so rispondere. Il prezzo mediamente della semola Senatore Cappelli dovrebbe essere indicativamente intorno, al massimo 2,5 - 2,8 euro/ Kg (l'ho comperata anche io a quel prezzo, ma non in sacco da 25Kg!). E' comunque un pochino "cara"! Oltre quel prezzo, personalmente, lo ritengo solo ed esclusivamente una speculazione commerciale legata al concetto del "bio" e alla moda del momento che non merita attenzione. E' impensabile per un panificatore artigiano pagare la farina 5 euro/kg e quindi 125 euro un sacco da 25 Kg. A quanto dovrebbe essere venduto il pane? Grazie a lei per la considerazione e la stima. Un saluto cordiale
Vedi la risposta
Pizza: metodi e risultato finale.
Buongiorno Dottoressa Lauri, vorrei chiederle se può a grandi linee chiarire le differenze sostanziali di prodotto finale, riguardo a pizza tonda al piatto (Napoli o simil-napoli) fatta nei seguenti modi: impasto diretto, impasto con inserimento di biga, impasto con inserimento di pasta di riporto. Nel possibile considerando stessa gestione di tutti e tre, impasto, puntata in massa, maturazione in frigo, staglio e lievitazione. Grazie
Buongiorno a lei, mi scusi ma la risposta a questa domanda è quasi impossibile perché le risposte sono complesse. Ho scritto più di un testo (Pane e pizza: due mondi un'unica passione, I segreti di un'arte) nella speranza di riuscire a chiarire alcuni concetti basilari, ma soprattutto nel tentativo di spiegare che si possono raggiungere ottimi e dico ottimi risultati con qualsiasi lavorazione. Mi scusi ma purtroppo non riesco a rispondere al suo quesito in questi termini perchè le variabili sono veramente tante:
- reologia della farina, quantità, tempi di impastamento e tempo/temperatura maturazione della biga
- tempo/temperatura/reologia della farina usata nel diretto
- forza, temperatura, quantità e acidità del riporto
- quantità e formulazione del lievito aggiunto
Ringraziandola per la preferenza accordata e per essersi rivolto al nostro servizio le invio i miei più cordiali saluti.
Vedi la risposta
Mollica poco alveolata
Dott. Lauri buongiorno, vorrei realizzare un pane con semola rimacinata. Le descrivo il procedimento biga 30/35% sul totale della farina, 20 ore di maturazione, farina di frumento tenero W media.
lievito madre liquido al 20% anche piccola percentuale di lievito di birra. Dopo la fase di impastamento fa seguito una prima puntata di 2 ore,con pieghe di rinforzo, poi spezzo formo e metto le pagnotte di 630 g nei cestini in frigo per 5 ore poi inforno. Non sono soddisfatto della mollica; non è molto alveolata. Come posso fare per migliorare la struttura della mollica? Grazie per la sua professionalità e per il servizio che offre. Cordiali saluti.
Buongiorno a lei mi scusi, ma dalla sua email non riesco a comprendere dei parametri-processo fondamenti: 1. lavora con biga+lievito madre+lievito fresco insieme, 2. temperatura di stoccaggio della biga 3. reologia della farina usata per la biga, 3.W "media" della farina di rinfresco purtroppo non riesco a comprendere nè il valore nè il P/L, 4. il valore della temperatura dell'acqua usata, della massa a fine impastamento e dell'ambiente nella fase di puntata, 5. tempo/temperatura della fermentazione. In mancanza di dati precisi potrei prendere i classici abbagli ma sono quasi certa che il suo problema sia relativo ad un valore troppo basso di temperatura e quindi l'impasto presenti la classica debolezza da freddo. Con la formulazione descritta di ingredienti (madre+biga+lievito fresco) non sono assolutamente necessarie le pieghe di rinforzo se la temperatura è corretta. Le pieghe di rinforzo le può eventualmente fare, all'occorrenza, dopo lo stoccaggio a +4°C e prima della fermentazione finale. Spero di esserle stata di aiuto. Ringraziandola per essersi rivolto al nostro servizio le auguro una buona giornata.
Vedi la risposta
teli copertura pane
Buongiorno Dottoressa,La disturbo per una mia curiosità. Per non far fare la pelle e spingere un po' la lievitazione quando fa' freddo e non riesco a usare la stufa sono solito coprire gli impasti, dei pani, le palline delle focacce ecc. con dei teli di nylon. Esiste una differenza nel risultato finale se si utilizzano dei teli di stoffa? Grazie per il servizio. Cordialità
Buongiorno a lei, la copertura con teli prima di cotone e poi di nylon è fondamentale per una questione igienica oltre a evitare in primis che la plastica si attacchi all'impasto sottostante, in secundis per mantenere il calore prodotto dalle reazione esotermiche e terzo per evitare la classica "pelle" o essiccamento superficiale dovuto all'evaporazione di acqua in conseguenza alla produzione di calore. Non si coprono mai con il telo di plastica direttamente a contatto con la pasta perché difficoltoso da lavare oltre al fatto, da non sottovalutare, che il pane lievitando, si attacca; quando lo deve togliere, prima di infornare, collassa la struttura. E' buona prassi igienico-operativa: prima il telo in cotone e poi la plastica. Spero di esserle stata di aiuto. Ringraziandola per essersi rivolto al nostro servizio, le invio i miei più cordiali saluti.
Vedi la risposta
Pizza napoletana: temperatura acqua e tiempistica
Salve Dott.ssa per un impasto per pizza napoletana con 62% idratazione, 2% sale, 0,2% lievito di birra fresco. Farina W 300, P/L 0,5/0,6. Impastatrice a forcella. Temp ambiente 27° C. Vorrei sapere la temperatura finale del impasto consigliata, tempo di puntata in massa a t.a (27°C). Grazie mille per la sua cortesia e per il servizio gratuito che offre.
Buongiorno a lei. La temperatura della massa a fine impastamento dovrebbe attestarsi intorno i 24°C per cui, usando una impastatrice a forcella e i conseguenti gradi di riscaldamento della massa per attrito meccanico, deve calcolare la temperatura dell'acqua da utilizzare. Per quanto riguarda invece il tempo di puntata in massa a +27°C, prima dello staglio e della formatura, questo dipende dalle caratteristiche reologiche della farina usata. In ogni caso per un diretto entro le 12 ore e con la dose di lievito fresco riportata, le consiglio di usare al massimo una 250 - 280W, riposo in massa 5/6 ore, staglio, formatura e fermentazione 3/4 ore. Con una 300W penso possa arrivare anche a 7/8 ore di prima puntata a pari temperatura della massa a fine impastamento. Se eccede con il valore del W della farina a pari tempo/temperatura di maturazione della massa otterrà un prodotto "gommoso". Spero di esserle stata di aiuto. Cordialità
Vedi la risposta
Lieviti
Salve Dott. Lauri, innanzitutto complimenti per la sua testata giornalistica online: eccezionale! E' un aiuto fondamentale da parte sua che mette a disposizione di tutti la sua professionalità e le competenze senza scopi di lucro. Grazie di cuore. Arrivo alla domanda: mi potrebbe elencare quante tipologie di lieviti esistono. Grazie per la risposta.
Buongiorno a lei, mi scusi ma posta cosi la domanda non riesco a comprendere pienamente se è una domanda generica o se nello specifico vuol sapere quale lieviti - blastomiceti si utilizzano in arte bianca? Nel settore alimentare indicativamente esistono circa 15 generi di lieviti di interesse specifico gen. Brettanomyces, Candida, Cryptococcus, Debaryomyces. Hanseniaspora, Issatchenkia Kluyveromyces, Pichia, Rhodotorula, Saccharomyces, Schizosaccharomyces, Torulaspora, Trichospora, Yarrowia, Zygosaccharomyces che sono impiegate nell'indistri alimentare; dal vino al pane e prodotti da forno, dalla birra ai formaggi, dalla salsa di soia ai lattofermentati ecc. Nello specifico settore dell'arte bianca il lievito fresco o compresso o di birra o industriale è costituito da una cultura quasi pura dall'ascomicete gen. Saccharomyces specie cerevisiae. Sono comunque presenti dei contaminanti naturali appartenenti a muffe gen. Pennicillium e batteri lattici gen. Lactobacillus, ecc. Se facciamo riferimento invece alla madre o lievito di pasta acida naturale la bibliografia scientifica riporta che i lieviti ritrovati proprio nelle madri artigianali appartengono ai generi Saccharomyces, Candida, Pichia, Torulaspora, Yarrowia, Debaryomyces, Kazachstania, Torulopsis, Yarrowia ecc. Se invece vuol sapere in che modo lo stesso S. cerevisiae sia venduto dalle aziende, può trovare la formulazione: fresca compressa, crema, essiccata, istantanea per la quale il dosaggio di impiego è funzione della formulazione presentata. Invece, esulando dal discorso prettamente scientifico microbiologico corretto, devo precisare che gli artigiani panificatori, nel linguaggio gergale tecnico, chiamano "lievito" sia la biga, sia il poolish sia la madre. Spero comunque di essere riuscita a comprendere il suo quesito, in caso contrario non esiti a contattarmi nuovamente. Ringraziandola nuovamente per aver usufruito del nostro servizio, le invio i miei più cordiali saluti.
Vedi la risposta
Percentuale di acqua marina impasto pizza
Dott.ssa Simona buongiorno, volevo porle un quesito un pò particolare: In che quantità devo aggiungere ad un impasto l' acqua di mare? Per esempio per un chilo di farina, acqua 60% (600 g) il 30% acqua marina 180 g senza aggiungere il sale? Cosa ne pesa? Grazie come sempre per la sua pazienza e professionalità ma soprattutto per questo servizio ineccepibile ed estremamente professionale.
Buongiorno a lei, mi scusi ma non riesco a capire le percentuali riportate nel suo quesito, oltre alla presenza di un errore di calcolo (180,0 g non sono il 30% sulla farina). Premetto che non ho mai lavorato con l'acqua marina commerciale per cui non conosco la contrazione salina o per lo meno non so se effettivamente rispecchi la concentrazione salina marina di 35 g/l. Se così fosse vuol dire che in un litro di acqua ci sono disciolti 35 g di sale per cui tenendo presente un ipotetico 30% sulla farina vuol dire che lei deve usare 300 g di acqua marina, la quale conterrà approssimativamente (occorre tener presente il valore della densità Kg/m3 per un calcolo corretto) circa 10,5 g di sale. Considerando che la media nazionale di sale, in arte bianca nei prodotti della panificazione, è 18,0 - 22,0 g per chilo di farina, deve aggiungere ancora del sale per arrivare a quei valori e dell'acqua per raggiungere il 60%. Grazie a lei per il quesito. Un saluto cordiale.
Vedi la risposta
Problema pane con i fichi
Buongiorno Dott.ssa Lauri, la ringrazio per la risposta come sempre esaustiva in merito all’autolisi a caldo della segale e relative dosi. A volte aggiungo a questo impasto, quando è ben incordato, ma anche ad impasti di sola farina 0 idratati al 70%, dei fichi secchi a pezzi (circa 300 g/kg) per farne dei panini. Ho notato che lo stesso tende a rompersi e a non riprendere più la corda, inoltre ho l’impressione che i fichi acidifichino l’impasto e tendano a rovinare la poca maglia glutinica rimasta durante le successive 24 ore di maturazione con la madre.
Le chiedo cortesemente in quale fase dell’impastamento sia consigliabile aggiungere i fichi e con quale modalità e se la mia impressione in merito all’acidificazione dell’impasto che apportano i fichi con deterioramento della maglia glutinica sia reale e, nel caso, se non sia meglio una lievitazione più veloce magari con biga e successiva aggiunta di lievito di birra fresco nell’impasto finale (quanto?) al posto della madre che normalmente utilizzo.
La ringrazio ancora per la gentilezza e la pazienza e colgo l’occasione per augurarle un buon anno nuovo.
Buongiorno a lei, La dose di fichi secchi è un pochino elevata ma questo non toglie il fatto che non riesca ad incordare bene. Tagli a pezzi non troppo piccoli i fichi e li metta per alcune ore in frigorifero o 30 minuti nel congelatore e li incorpori molto molto freddi. I fichi li deve sempre incorporare alla fine della fase di impastamento (impasto incordato ma non caldo) e molto molto lentamente con piccole aggiunte. Il fatto che i fichi "acidifichino" l'impasto è molto probabile per la carica microbica autoctona oltre a quella naturale della sua massa proprio per l'elevato apporto di zuccheri immediatamente disponibile nel momento del taglio del frutto. Non conosco nè la percentuale nè la formulazione della madre da lei utilizzata ma se si presenta questo problema lavori con madre meno in "forza" oppure con 50 - 60% biga sulla farina e circa 0,3 - 0,4% di lievito fresco e stoccaggio 10 - 12 ore a +4°C. Nella speranza di esserle stata di aiuto, le invio i miei più cordiali saluti.
Vedi la risposta
lievito in sacco
Buongiorno dottoressa Lauri, c'è una aspetto della gestione lievito madre che non riesco a cogliere. Ho lavorato con gestione in acqua e in sacco; mentre per la prima ho sempre trovato tutti concordi sui rinfreschi quotidiani con rapporto farina 1:1, invece sul lievito in sacco trovo (alle stesse condizioni di gestione, temperatura di riposo notturno,ecc) sostanzialmente comportamenti molto diversi; chi mantiene un rapporto farina:madre 1:1.5 o anche 1.2 e chi invece 1:1.
Addirittura ho fatto prove io stesso, rinfrescando secondo i due modi e alla fine trovavo al mattino un lievito non sbilanciato, dandogli sia pari peso di farina che più farina.
Come mai queste indicazioni molto diverse che invece sul lievito in acqua non ho mai trovato? Grazie per il suo servizio e la sua condivisione di sapere e esperienza.
Buongiorno a lei grazie per aver posto il quesito. Le due condizioni, se all'apparenza sembrano simili perché la madre è solida, in realtà creano situazioni abbastanza differenti soprattutto in termini di aromi, di numero di rinfreschi di mantenimento e di forza. Questo è dovuto, per la gestione in acqua, proprio alla presenza dell'acqua, min valore di pH, presenza di ossigeno disciolto, maggiori contaminanti endogeni, maggior solubilizzazione di acidi, ecc. La gestione in sacco è un pochino più laboriosa in termini di tempo e/o di rinfreschi giornalieri, poichè la madre è molto più in forza, ma nel contempo più delicata. Basta una variazione di temperatura, di acqua e/o di proprietà reologiche della farina per modificarne proprio la forza. La natura della stessa "forza" è dovuta alla tipologia di simbiosi, alle forme microbiche, a UFC/g, all'attività proteolitica, ai prodotti del metabolismo microbico, all'anidride carbonica prodotta, ecc. Essendo molto "variabile" , ogni artigiano la conosce nei dettagli per cui può optare, in base alle condizioni di: colore, struttura interna, tensione/allentamento delle corde, ecc., di variare i rapporti in base allo stato in cui la vuole portare senza squilibrarla in termini di lattico:acetico. Questo non succede per la gestione in acqua, perchè la madre è più stabile e un pochino più debole rispetto a quella in sacco. Nella fase legata ci sono molti parametri attraverso i quali è possibile valutare/controllare la conduzione, al contrario, in acqua, l'unico parametro che segna l'eventuale debolezza/forza è il tempo iniziale, dopo il rinfresco, necessario al galleggiamento. Dopo di che si stocca a +4°C senza particolari valutazioni visive, anzi in alcuni casi è soggetta a contaminazioni non indifferenti. Generalmente il rapporto 1:1 è ideale per un rinfresco giornaliero mentre 1:2 per quello a giorni alterni a pari condizioni di gestione. Spero di aver risposto esaurientemente al suo quesito e la ringrazio per essersi rivolto al nostro servizio di consulenza online. Buona giornata a lei.
Vedi la risposta
Lievito naturale di pasta acida o madre
Buongiorno Dottoressa Lauri, vorrei chiederle se un lievito naturale di pasta acida può cambiare forma di gestione; passare da madre legata a madre solida in acqua e viceversa e anche addirittura un lievito naturale in crema può essere convertito in madre solida e viceversa e se questi passaggi possono creare sbilanciamenti o hanno tempi di adattamento. Ad es un licoli trasformato in lievito solido ha poi tutte le caratteristiche dello stesso o ha bisogno di giorni di gestione e rinfreschi per acquisire tali caratteristiche? Grazie per la sua disponibilità
Buongiorno a lei, La gestione di una madre o lievito di pasta acida naturale può essere interscambiabile senza problemi nelle diverse forme; da liquida a solida in sacco legata, solida in acqua, secco ecc. in base alle necessità, esperienza, abitudine ecc. dell'operatore. Chiaramente variando le forme e cambiano indiscutibilmente le caratteristiche chimico - fisiche: QF, DY, pH, concentrazione di ossigeno, acidità totale, numero dei rinfreschi giornalieri, modalità di rinfresco, rapporto madre/farina, ne risentono sia il metabolismo sia l'aroma, non necessariamente peggiorativi. Non parlerei, quindi, di sbilanciamenti microbici quanto di adattabilità della coltura specifica alla nuova condizione fisica; adattabilità che si risolve in 2/3 giorni. In conclusione, senza danni al microbiota o problemi particolari (a meno di utilizzo di lame, temperature maggiori di 40 - 45°C, ecc.), il Li.Co.Li può essere "trasformato" in coltura solida da mantenere in acqua o in sacco legato o libero. Grazie a lei per essersi rivolto al nostro servizio di consulenza online. Distinti saluti
Vedi la risposta
Se il pane ammuffisce....
Buonasera dottoressa, un cliente del mio panificio mi ha portato indietro un pezzo di pane casereccio a lievitazione naturale (che produco da diversi anni),perchè presentava una muffa di colore rosa al centro della fetta, generatasi nel giro di 3 giorni in estate.
Nello stesso periodo anch'io ho consumato quel pane a tavola ed ho riscontrato lo stesso evento. Onestamente al momento dell'infornamento la lievitazione di quel lotto non aveva raggiunto l'optimum, ma comunque ho infornato. Ora la mia domanda è: perchè questa muffa è rosa? Da cosa dipende i colore della muffa nel pane?
Al mio cliente ho detto che potrebbe capitare, che a me era accaduta la stessa cosa con quel pane e gli ho offerto del pane fresco in omaggio e in sostituzione di quello rovinato. Ho cercato di riparare come meglio potevo. Ebbene, il pane fresco in sostituzione non è stato accettato, ed il cliente ad oggi non è tornato.Cosa debbo sapere sulle muffe? Come posso tenermi il più possibile al riparo da questi eventi? Puliamo e sanifichiamo le superfici, le vasche delle impastatrici, le tramogge delle spezzatrici tutti i giorni. Da sempre.Grazie per l'attenzione e per il servizio che offre.
Buongiorno a lei, è molto difficile rispondere al suo quesito perchè lo sviluppo di muffe interne al pane dipende unicamente da una contaminazione microbica iniziale presente in qualche materia prima, - semilavorati, mix già pronti compresi - (si accusa sempre la farina, ma potrebbe provenire anche da altro come per esempio essere state introdotte da qualche matrice vegetale utilizzata nella tanto di moda/tecnica delle "fermentazioni spontanee", "fermentazioni primordiali", in cui le materie prime e la tecnica non sono controllate e il valore di pH non garantisce la disattivazione delle spore e pertanto determinano molti sviluppi indesiderati di microrganismi!), da squilibri microbici, aw elevati, assenza di sale, percentuale di S. cerevisiae troppo bassa, ambiente con UR elevato, ecc., che non garantiscano la sicurezza. A ciò aggiunga che la temperatura a cuore del prodotto non disattiva mai le forme sporigene, perchè troppa bassa soprattutto se i pani superano i 500,0 g. Una muffa rosa al centro mi fa pensare immediatamente al "bloody bread" tipico da S. marcescens e Oidium aurantiacum, ma non ho assolutamente riscontri microbiologici sulla sua matrice; è solo una personale opinione. Il gen. Geotricum e Neurospora crassa sono altre muffe che potrebbero essere le responsabili. Per risolvere il problema, non sapendo da dove provenga la contaminazione, deve prima di tutto eliminare tutte le materie prime presenti (farine e sfarinati vari, semilavorati, mix, olio, ecc.) nel locale, svuotare e sanificare con vapore ad alta temperatura, lavare, disinfettare con candeggina tutti pavimenti e le pareti e disinfettare tutti i teli ecc., lavorare con metodica indiretta e all'occorrenza all'inizio usare anche aceto nell'impasto. E' importante pulire e sanificare tutte le volte, ma può non essere sufficiente se la contaminazione presente nella materia prima è massiva in termini di UFC/g. Generalmente il problema legato alla disattivazione delle spore (muffe, gen. Bacillus, ecc.) non si risolve nè con la riduzione del pH nè con la temperatura, ma solo evitando la contaminazione primaria iniziale; l'alterazione microbica del prodotto si presenta dopo circa 2/3 giorni dallo sfornamento e sempre a cuore, perchè l'azione delle amilasi postcottura, l'aw, l'assenza di competitori microbici e la temperatura favoriscono lo sviluppo delle forme vegetative. Lavori unicamente con biga e madre oltre al S. cerevisiae (metodica mista) dopo l'obbligatoria sanificazione del locale e si assicuri di cuocere le pezzature grosse a 200°C e di aprire i tiraggi gli ultimi 15 minuti. Spero di esserle stata di aiuto. Un saluto cordiale e grazie per essersi rivolto al nostro servizio.
Vedi la risposta
Alfa e beta amilasi
Buon giorno dottoressa Lauri volevo alcune delucidazioni in merito agli enzimi alfa e beta amilasi. Superata la loro temperatura 60/80 gradi si disattivano dopo la cottura. Se le temperature scendono si riattivano oppure sono totalmente distrutti e inefficaci? Aspettando una sua cortese risposta le auguro una buona giornata.
Buongiorno a lei, le amilasi sono enzimi più precisamente Idrolasi - glicosidasi e come tutti e ribadisco tutti gli enzimi sono proteine. Essendo strutture proteiche hanno una temperatura massima entro la quale mantengono la loro funzionalità biochimica, oltre la quale si denaturano per rottura dei legami idrogeno presenti. Pertanto, la denaturazione modifica la struttura nativa (originaria) della proteina con la conseguente perdita dell'attività biologica. Se le condizioni sono blande, la proteina può riacquistare/recuperare la sua forma nativa, originaria e quindi "rinaturarsi", in caso contrario la sua funzionalità enzimatica è compromessa. Nel caso specifico delle amilasi la termostabilità di detti enzimi dipende non solo dal fatto che siano alfa o beta, ma dall'origine. In ogni caso, le alfa amilasi mostrano una temperatura di disattivazione/denaturazione molto più elevata delle beta, mentre le alfa amilasi di origine batterica sono le più termoresistenti. Come in qualsiasi processo tecnologico, non deve essere considerato unicamente il parametro "temperatura", ma sempre il rapporto tempo/temperatura per cui, quando si raggiunge la temperatura di gelificazione, le amilasi (alfa e beta) agiscono anche sui granuli di amido interi. La termostabilità, quindi, è funzione del rapporto tempo/temperatura e pertanto a 90°C risultano ancora attive circa il 22% dell'alfa amilasi di origine batterica, mentre la beta ha perso completamente la sua funzione biologica. Questo per dire che l'azione dell'alfa amilasi continua anche dopo la cottura modificando/prolungando la shelf life del prodotto stesso. Riassumendo quindi posso dire che le alfa amilasi (più termicamente resistenti delle beta) possono denaturarsi in funzione del rapporto tempo/temperatura raggiunto. Se la temperatura diminuisce possono rinaturarsi ed acquistare nuovamente la loro funzionalità biologica. Se facciamo riferimento al valore della temperatura che si raggiunge a cuore del prodotto "pane" oppure "pizza" quando si informa a 400°C e più per pochissimi secondi (per la pizza con una permanenza nel forno per cosi poco, a fatica si raggiunge la temperatura di gelificazione!), la termostabilità delle amilasi (in questo caso anche delle beta) è molto elevata. Il proseguo dell'azione delle alfa amilasi post cottura se da una parte può migliorare la shelf life, dall'altra può risultare negativa nel caso di proliferazione microbica (contaminazione post cottura, termoresistenza delle spore e delle forme vegetative presenti, ecc.) in quando creano un substrato con elevata concentrazione di zuccheri fermentescibili. Chiaramente questo è un discorso riferito solo al valore temperatura, ma la denaturazione dipende da una sinergia di fattori tra i quali anche il valore del pH. Spero di essere stata abbastanza chiara e nel ringraziarla per essersi rivolto al nostro servizio di consulenza online le auguro una piacevole giornata.
Vedi la risposta
Calcolo del lievito madre liquido, su impasto con biga.
Dott.ssa Simona, buongiorno, avrei una domanda: su un impasto per fare il pane, utilizzo una biga al 25% e un lievito madre liquido al 15%. Su quale quantità di farina devo calcolare, il lievito madre liquido? Quella del secondo impasto o quella totale compresa la biga? Grazie come sempre per la sua immensa professionalità e cortesia.
Buongiorno a lei, tutti gli ingredienti sono calcolati sulla farina utilizzata per cui nel suo caso, ipotizzando che utilizzi 2 Kg di farina nel rinfresco dovrà usare 500 g di biga (25%) e lievito madre liquido 300 g (15%) come da sua ricetta. Dovrà però calcolare quanti grammi di farina sono presenti in 500 g di biga e in 300 g di lievito madre liquido per il calcolo del sale, malto e di tutti gli ingredienti calcolati sul totale della farina (farina aggiunta nel rinfresco + farina presente nella biga+ farina presente nella madre liquida). Spero di essere stata abbastanza chiara e di aver compreso correttamente il suo quesito. Mi scusi ma nella produzione del pane si lavora raramente con due impasti a meno che lei non intenda con "secondo impasto" la fase di impastamento vera e propria. In questo caso, è la lavorazione indiretta che è chiamata "a due fasi" non l'impastamento i come "primo" o "secondo" impasto! Nel ringraziarla per essersi rivolto al nostro servizio di consulenza gratuita online, le invio i miei più cordiali saluti. Cordialità
Vedi la risposta
Percentuali totali di acqua e farina
Dott.ssa Simona Lauri buongiorno. Vorrei un' informazione: come faccio i calcoli per un impasto di pane, con li.co.li? come faccio a calcolare acqua e farina compreso li.co.li?
li.co.li al 15%? es: 1 kg di farina, parto con 65% di acqua 650 g. con il 15% di 150g. rinfresco uno a uno. es; 50 licoli, 50 g farina 50 g acqua. Grazie a lei
Buongiorno a lei, dai calcoli si parte sempre dalle farina e la percentuale di acqua è sempre in totale e sul totale della farina. Faccio un esempio numerico cosi riesco a spiegarmi meglio. Farina 1000 g e licoli 15% per ottenere una massa con un quantitativo totale di acqua aggiunta (che non è l'idratazione totale della massa!) pari al 65% come da ricetta: farina aggiunta 1000 g, licoli 15% per cui 150 g (nei quali sono contenuti 50 g di acqua, 50 g di farina e 50 g di licoli). In totale avrà quindi 1150 g di farina (farina aggiunta + farina presente nel licoli). Su questi 1150 g di farina totale deve calcolare il 65% di acqua totale (747,5 g totali), ma nel licoli erano già presenti 50 g per cui dovrà aggiungere la differenza 747,5 g - 50 g = 697,5 g. Spero di essere stata chiara. Grazie a lei per essersi rivolto al nostro servizio. Un saluto cordiale
Vedi la risposta
Utilizzo del glutine per rinforzare farine deboli
Buongiorno, dato che utilizzo spesso farine abbastanza deboli, ad esempio semola rimacinata Cappelli o farina di tipo 2, che ritengo abbiano circa 180 w, vorrei sapere se, invece di tagliarle con una farina forte di tipo zero come faccio di solito, potrei semplicemente addizionare a queste il glutine necessario ad ottenere la forza desiderata, ovvero 320-350w. Inoltre vorrei sapere se, l'aggiunta di questo glutine modificherebbe anche il rapporto p/l di queste farine, rendendo anche questo più vicino ai valori che in genere corrispondono alle farine forti. Nella speranza che vorrà scusarmi se la mia richiesta è poco chiara o corretta, le porgo fin da ora i miei ringraziamenti per questa rivista e questo servizio in particolare e le auguro buone feste.
Buongiorno a lei, in linea di massima e sempre in teoria, il frumento duro varietà Senatore Cappelli (100W) è molto più debole di una farina di frumento tenero Tipo 2 (la forza non è funzione dell'abburattamento) e per passare da 100 a 320 - 350W deve aggiungere molto glutine secco. L'aggiunta di glutine secco squilibra quasi sempre il P/L e R/E inoltre per ottenere una 320 - 350 partendo da una 180W deve usare una farina che già di suo ha un valore indicativamente prossimo a 380 - 400W e più, magari, quest'ultima, già additivata con glutine secco. Personalmente, se posso permettermi, le consiglierei di usare il frumento varietà Senatore Capelli in purezza tal quale senza additivazione e/o "tagli" con tenero; acquisti, inoltre, una farina già con 320 - 350W senza miscelare le farine per ottenere la forza desiderata cosi non rischia "squilibri" reologici. Nel ringraziarla per la stima e per essersi rivolto al nostro servizio di consulenza online, le invio i miei più cordiali saluti e sinceri auguri per le festività.
Vedi la risposta
Temperatura di lievitazione panettone
Buongiorno Dottoressa Lauri. Le chiedo quali sono le differenze e di conseguenza anche pro e contro di far lievitare il panettone o i grandi lievitati a temperature diciamo "inferiori" rispetto la prassi comune, sui 20 gradi circa, relativamente sia al primo impasto sia al secondo impasto. Quali lei preferisce? Grazie per la risposta
Buongiorno a lei, indipendentemente dalle mode dei maestri improvvisati di grandi lievitati, dicerie, disinformazione, ecc. il panettone (definizione legale), cosi come pandoro, colomba e un qualsiasi altro grande lievitato, è realizzato con la madre ossia con una coltura in cui la coltura dominante è rappresentata dai LAB che, rispetto ai lieviti (S. cerevisiae, exiguus ecc.), prediligono temperature più "alte" mediamente circa 30 - 35°C fino a +40 - 45°C per certe specie. La fermentazione nonché lievitazione di certi impasti così "grassi" (burro e tuorli), " difficili" (cioccolato ecc.) e "pesanti" (frutta candita) per l'attività microbica, richiede una madre con particolare "forza" e vitalità. Questo è il motivo dei 2/3 rinfreschi prima del primo impasto e del "caldo" durante tutta la produzione. Il S. cerevisiae attivo e vitale, presente come contaminante nella microflora della madre, si trova comunque in una condizione ottimale in quanto l'optimum di fermentazione del lievito è 30°C. Chiaramente mi riferisco ad una condizione di processo legata alla presenza di una madre attiva e vitale. Il freddo (in questo caso 20°C) può indebolire l'impasto sia da un punto di vista reologico sia microbiologico che, per questi impasti, soprattutto se impastati con una impastatrice a spirale, non sempre è condizione ideale. Grazie per essersi rivolto al nostro servizio di consulenza. Buona giornata
Vedi la risposta
Temperatura di lievitazione
Buongiorno Dottoressa Lauri, le chiedo cortesemente cosa cambia nel fare lievitazione del primo e/o secondo impasto a temperatura bassa, es 20-22°C. Se e quando è da preferire. Grazie per la cortese risposta.
Buongiorno a lei, mi scusi ma dalla sua email non riesco a capire a quale prodotto lei si riferisca e soprattutto a che tipologia di lievito biologico naturale faccia riferimento nella ricetta. Cortesemente potrebbe essere più esplicito/a, perché dovrei fare solo supposizioni che, magari, non trovano riscontro nella realtà. Nell'attesa di un suo riscontro le porgo i miei più cordiali saluti. Grazie
Vedi la risposta
Shelf life del panettone artigianale
Buongiorno dottoressa, da anni produco panettoni a lievitazione naturale senza utilizzare mix, preparati, lieviti secchi ecc. Ho sempre ottenuto buoni risultati, ma dopo 10 -15 giorni dalla data di produzione noto un invecchiamento che in altri panettoni artigianali, anche in prossimità della data di scadenza, non rilevo. Analizzandoli, o meglio valutandoli secondo la mia esperienza, vedo che sono ancora morbidi, hanno una mollica soffice e ancora umida rispetto a quella del mio che, invece, si presenta più raffermo e con una mollica più asciutta e ruvida al palato. Ipotizzo alcune cause (da ignorante ):
1- impasto serale troppo avanti.
2- tempi d'impasto troppo lunghi.
3- mancanza di un conservante naturale (lecitina di soia). Grazie per l'attenzione e per il servizio di consulenza svolto. Saluti cordiali.
Buongiorno a lei. Le ipotesi che lei ha fatto potrebbero essere tutte corrette e per email, senza vedere il prodotto, senza sapere la ricetta, le tempistiche di lavoro, il tipo di impastatrice e lo stato di forza della madre posso concordare con lei. La lecitina di soia è un emulsionante già abbondantemente presente nei tuorli per cui non è richiesta una ulteriore aggiunta. Personalmente potrei anche ipotizzare che l'impasto sia "troppo magro". Cortesemente che tipo di impastatrice utilizza? Qual'è la temperatura a cuore nel momento dello sfornamento? Quali sono le condizioni di cottura in termini di tempo/temperatura, tipo di forno e modalità di tiraggi o valvole? Mi scusi ma sono un pò pochine le informazioni che mi ha fornito. Grazie per essersi rivolto al nostro servizio di consulenza online. Un saluto cordiale
Vedi la risposta
La biga è un prefermento?
Buongiorno dottoressa, volevo porre alla sua attenzione un argomento che sta diventando,a mio parere una grande bufala nei gruppi di pizzaioli e sono stanco di leggere risposte senza un minimo di senso logico. La mia reazione è dovuta al fatto che non ritengo corretto quello che certi maestri, che fanno corsi, vanno dicendo e scrivendo, ma mi rimetto al suo giudizio insindacabile e giro a lei il quesito: la biga è un prefermento? Cioè "pre" fermento di cosa? Sono un semplice appassionato casalingo, ma mi urta abbastanza essere fatto passare per stolto, ignorante e sciocco da certi presuntosi. Complimenti ancora per l'estrema professionalità sua e della redazione. Leggo sempre questa rubrica e in effetti la ritengo una persona "fuori dal coro" per la sua estrema preparazione scientifica e correttezza. La stimo e l'ammiro immensamente. Grazie per la risposta
Buongiorno a lei, l'etimologia della stragrande maggioranza delle parole della lingua italiana ha una derivazione greca o latina. Non sono un docente di lettere, ma un minimo di cultura grammaticale e lessicale della nostra lingua madre, volente o nolente, me l'hanno insegnata a scuola. Come le dicevo non voglio invadere un campo che non mi compete, ma il prefisso pre (appunto di derivazione latina prae) significa prima ed è relativo ad avvenimenti che avvengono prima o mostrano anteriorità nel tempo. Quando ho letto la sua email, pensavo ci fosse un errore di scrittura, il classico "refuso", ma poi mi sono resa conto che non c'era nessun errore! Capisco e condivido pienamente la Sua reazione nel momento in cui ha letto che la biga è definita "prefermento". Stando alla definizione prettamente lessicale italiana di pre, se fosse come scrivono, dicono, ecc., la biga sarebbe una massa che viene prima del fermento in quanto, a livello temporale, sarebbe antecedente il fermento. Non ha alcun senso ed è errata sia dal punto di vista della lingua italiana sia da un punto di vista microbiologico e scientifico. La biga/poolish, da un punto di vista scientifico, è una miscela di farina, acqua con un inoculo di lievito S. cerevisiae fresco (indipendentemente dalla %) quindi di un microrganismo vivo e vitale; "inoculo" o gergalmente conosciuto come fermento nel linguaggio tecnico degli artigiani panificatori. Ora, nel momento in cui aggiungo un fermento, la biga/poolish diventa essa stessa fermento e non prefermento o prima del fermento, perché sottoposta alla crescita con conseguente metabolismo fermentativo del fermento - lievito S. cerevisiae. E' una azione che si svolge nella contemporaneità dei fatti in quella massa e non con anteriorità di tempo. Spero di non averLe confuso ulteriormente le idee e di essere stata abbastanza chiara. Nel ringraziarLa per la stima a nome di tutta la redazione, Le invio i miei più cordiali saluti.
Vedi la risposta
rinfresco lievito
Buongiorno Simona, le chiedo se i tempi di impastamento del lievito naturale possono influenzare in modo visibile la maturazione del lievito stesso in cella, non mi riferisco ad aumento di temperatura derivante dall'impastamento, mi riferisco alla sollecitazione meccanica e maggiore incordamento (ovviamente con uguali altri parametri, idratazione, al 47%, farina forte eccc). Grazie mille
Buongiorno a lei, quando si parla di tempi di impastamento è difficile non considerare il riscaldamento meccanico dovuto agli attriti ,soprattutto in masse costituite da farina e 44 - 47% di acqua aggiunta. Uno dei fattori che influenza in modo visibile la maturazione, oltre all'idratazione totale, è il fattore temperatura della massa che a sua volta può dipendere dalla temperatura dell'acqua utilizzata e da quella della madre che si vuole rinfrescare. Sul fattore del mancato "incordamento" nell'impastamento, in alcuni casi, si può sopperire usando la sfogliatrice o un buon mattarello e fruttando le pieghe di rinforzo. In questo caso la mancanza di incordatura della massa nell'impastatrice è sopperita, anzi, volutamente sostituita, dai passaggi o al cilindro, o alla sfogliatrice proprio per impartire molta forza alla massa, già di per se abbastanza "asciutta". L'impastamento meccanico non impartisce forza alla massa ma può portare all'effetto contrario dello sfibramento. In questa ottica quindi, a parità di tutte le variabili, le rispondo che la riduzione dei tempi di impastamento può influenzare la forza della madre se accompagnata dall'azione meccanica della sfogliatrice e dalle conseguenti pieghe. Grazie a lei per essersi rivolto al nostro servizio. Un saluto cordiale
Vedi la risposta
Percentuale massima utilizzabile di autolisi a caldo con la segale
Buongiorno Dott.ssa Lauri, amo molto la segale integrale e la utilizzo spesso negli impasti sia per la pizza che per il pane in percentuali che vanno dal 5 fino al limite dell’80 per le nostre brezzadelle valtellinesi, solitamente abbinandola a pasta madre e lunghe maturazioni. Leggendo alcune sue risposte ho iniziato ad utilizzare con una parte della farina l’autolisi a caldo, prendendo 1 parte di farina di segale e 2,5 di acqua e portando il tutto a circa 100 gradi, riposo 24 ore. Non essendomi ben chiari diversi aspetti in merito, le chiedo cortesemente qual è la percentuale massima di farina di segale, sul totale delle farine previste per la ricetta, che posso utilizzare per l’autolisi a caldo senza pregiudicare la qualità dell’impasto e qual è il rapporto ideale farina di segale integrale/acqua per questo tipo di autolisi. Ad esempio, preparo spesso un pane rustico col 40% di segale integrale, 20% semola rimacinata e 40% farina 0 w350: potrei utilizzare l’autolisi a caldo con tutta la segale e con quanta acqua? Potrei spingermi oltre? La ringrazio infinitamente la sua consueta gentilezza e disponibilità.
Buongiorno a lei, la massa "autolitica" realizzata con la farina di segale e/o farina di segale integrale e acqua, generalmente non deve superare il 20% della farina utilizzata nel rinfresco. Mi spiego meglio, se la massa autolitica pesa in totale 600 g (200 g di farina di segale e 400 g di acqua) deve aggiungere circa 3000 Kg di farina possibilmente non di segale a meno che lei non proceda con una lavorazione indiretta con madre e con un ulteriore riposo in massa di 24 ore e più per abbassare il valore del pH. Non c'è una percentuale massima di farina di segale, perchè dipende dal prodotto e dal tipo di lavorazione; può lavorare anche con 100% di farina di segale. Chiaramente, se lavora con farina di segale e non semilavorati alla segale ecc., il pane presenterà delle caratteristiche molto particolari ed uniche: risulta pesante, con una nota più o meno marcata di acidità e segale, scarso sviluppo in cottura, spessore di crosta, elevata umidità interna e con alveolatura della mollica chiusa e caratteristica. Nel caso in cui proceda usando, invece, semilavorati, mix ecc. alla segale, il pane presenterà molta leggerezza, friabilità, abbondante sviluppo in cottura, alveolatura aperta e scarsi sentori di segale perchè la farina di segale è presente in percentuale molto minore. Spero di aver ben compreso il suo quesito. Nel ringraziarla per essersi rivolta al nostro servizio di consulenza online le invio i miei più cordiali saluti. Sempre a disposizione
Vedi la risposta
Aggiunta nel panettone di lievito
Buongiorno Dott.ssa, nel disciplinare del panettone è prevista l'aggiunta massima del lievito S. cerevisiae nella quantità massima del 1% sul prodotto finito. Le chiedo cortesemente se ci sono differenze tra fresco, essiccato, liofilizzato, disidratato ecc. Mi spiego meglio il limite del 1% è riferito al lievito fresco oppure anche a quello disidratato? Grazie a lei per la consulenza e il servizio gratuito.
Buongiorno a lei Il DM 2005, in vigore da 19 anni, nell'allegato f - comma 3 cosi riporta:"lievito avente i requisiti di cui all’art. 8 del decreto del Presidente della Repubblica 30 novembre 1998, n. 502, fino al limite dell’un per cento" , mentre il comma 4 cosi recita: "Il calcolo delle percentuali degli ingredienti menzionati ai commi 2 e 3 è effettuato conformemente all’Allegato I, punto 1". Nello specifico quindi l'art.8 del DPR 502/98 cosi recita:
1.Il lievito impiegabile nella panificazione deve essere costituito da cellule in massima parte viventi con adeguato potere fermentativo, con umidità non superiore al 75 per cento e con ceneri non superiori all'8 per cento riferito alla sostanza secca.
2. La crema di lievito impiegabile nella panificazione deve essere costituita da cellule in massima parte viventi con adeguato potere fermentativo, con umidità non superiore all'80 per cento e con ceneri non superiori all'8 per cento riferito alla sostanza secca.
Nel ringraziarla per essersi rivolto al nostro servizio di consulenza, le invio i miei più cordiali saluti.
Vedi la risposta
Panettone
Buongiorno Dottoressa Lauri, le chiedo riguardo al procedimento del panettone e l'aggiunta di lievito di birra.Premesso l'uso di madre ben bilanciata per il prodotto che da sola darebbe un risultato soddisfacente, chiedo se il lievito compresso fresco possa dare effettivamente un risultato più "completo", se si in quale dosaggio e su quale dei due impasti, se cambia eventualmente la metodica di lavorazione (temperature, sviluppo del primo impasto). Ovviamente se non abbia una ricaduta sulla conservazione e asciugatura del prodotto successivamente.
Buongiorno a lei. La presenza del lievito di birra è contemplata fino al limite massimo dell'1% sulla massa totale e non sulla farina (art. 1 DM 22 luglio 2005) come, generalmente, si è soliti operare i calcoli. La presenza del lievito compresso in dosi superiori fa si che il prodotto non possa essere assolutamente denominato "Panettone". Il risultato evidente ("soddisfacente" dipende dai punti di vista!) è la presenza di un volume maggiore nella stessa unità di tempo e nella mollica di alveoli molto grandi (tanto di moda!) generalmente presenti soprattutto nella mollica dei prodotti realizzati con i preparati e/o semilavorati già pronti di cui, alcuni di essi, non dichiarano nulla in etichetta e nascondono sotto la parola "lievito naturale" celle disidratate di S. cerevisiae. Per quanto riguarda il quesito sulla metodica, le rispondo che la stessa non cambia in termini di temperatura, ma nella riduzione dei tempi di ogni fase, soprattutto tra il primo e il secondo impasto nel caso in cui il lievito fosse aggiunto appunto nel primo impasto. E' però libera scelta dell'operatore aggiungerlo indistintamente nel primo e nel secondo impasto. Rispettando rigorosamente le % riportate nel decreto si ha una minima riduzione della shelf life; questa a sua volta dipende dagli obbiettivi che il produttore si prefiggere, dalle scelte e/o decisioni che opera (utilizzo nell'impasto di sorbato di potassio, acido sorbico, emulsionanti, alcool come solvente di aromi di sintesi, ecc.) nella produzione. Spero di aver risposto esaurientemente al suo quesito. Ringraziandola per la preferenza accordatami, le invio i miei più cordiali saluti.
Vedi la risposta
Percentuale di utilizzo lievito fresco in associazione alla pasta di riporto
Salve dott.ssa e complimenti per la sua pazienza e professionalità. Di questi tempi e nella giungla dell'internet è veramente difficile trovare qualcosa di ben fatto come il suo sito e questa testata giornalistica.Vorrei chiederle una cosa.Qual'è la percentuale di lievito fresco che posso utilizzare in associazione alla pasta di riporto? Questa percentuale la calcolo sul peso della farina o sul peso della pasta di riporto? La ringrazio anticipatamente
Buongiorno a lei prima di tutto grazie per la stima e per il complimenti che estendo a tutta la redazione. Tornando al suo quesito, le rispondo che non c'è una percentuale fissa nè di pasta di riporto nè di lievito fresco. In linea di massima dipendono unicamente dal tipo di prodotto che si desidera ottenere e dall' "acidità" della pasta di riporto. In panificazione può ottenere degli ottimi risultati con 20 - 30 - 40% di riporto in condizioni ottimali (18 - 20°C, ma soprattutto non a +4°C nè troppo acida!) e circa 1,5 - 2.5% di lievito fresco (maggiore è la % di riporto e minore e quella di lievito fresco). Le percentuali sono tutte calcolate sulla farina cioè se utilizza 1000 g di farina dovrà aggiungere 200 - 300 - 400 g di riporto e circa tra 15 e 25 g di lievito fresco. La percentuale di lievito fresco e del riporto possono essere ridotte in funzione dell'aumento del tempo del riposo in massa, della temperatura, dell' utilizzo della cella fermalievitazione ecc. Spero di aver chiarito i suoi dubbi e resto a disposizione. Nel ringraziarla per essersi rivolto al nostro servizio, le invio i miei più cordiali saluti.
Vedi la risposta
Richiesta riflessione sui grani "Antichi"
Gent.ma dott.ssa Lauri, complimenti sempre per la sua disponibilità, preparazione e chiarezza; volevo porle una domanda/riflessione sempre su uso e consumo dei grani "Antichi". Inizio ad usarli e consumarli da quando mi è stato consigliato di ridurre il "glutine" nella mia alimentazione. Attualmente oltre al tentativo di ottenere quanto più possibile da queste farine panificando in casa, per diletto e gusto, sto' iniziando a sperimentare l'aggiunta di altro per migliorare il risultato(?!). Per esempio sto provando con l'aggiunta di piccola quantità di farina di fave, voglio anche provare il succo di limone. La mia riflessione è ora questa, rispetto all'utilizzo di queste farine perchè hanno un glutine meno "strutturato" (tecnicamente non riesco bene ad esprimermi), e quindi forse preferibile per la mia alimentazione, è giusto provare ad ottenere un W più forte o una maggiore struttura della maglia glutinica? Mi chiedevo, a questo punto, vale la pena ottenere di più quando dovrei mangiarne con meno. O dovrei semplicemente riuscire a lavorare quelle farine in purezza il meglio possibile e dedicarmi ad esperimenti solo per curiosità?! In attesa di risposta, la ringrazio ancora
Buongiorno a lei. Mi scusi ma avrei un'obbiezione iniziale da fare: le farine provenienti dalle varietà definite "antiche" non contengono assolutamente meno proteine totali (%) nè glutine di quelle definite "moderne" anzi, per alcune varietà, è esattamente il contrario. Questo per dire che se alcune varietà, in base al loro genotipo, hanno mostrato valori di proteine totale inferiori occorre sempre specificare i termini di paragone (cioè le varietà moderne vs antiche prese in esame nello studio) e mai generalizzare su tutta la biodiversità antica vs moderna. La differenza riscontrata nella variazione genotipica della percentuale di proteine di grano tra le vecchie varietà è associata alla glutenina e non alla gliadina. L'indice di glutine più elevato osservato nei genotipi moderni di grano duro è correlato all' aumentato rapporto glutenina / gliadina e all'espressione di tipo B LMW-GS (subunità di glutenina a basso peso molecolare) che è, in media, due volte più alta nel moderno rispetto all' "antico". Al contrario, non sono state riscontrate differenze significative tra genotipi di grano duro di varietà "antiche" rispetto alle "moderne" in relazione all'espressione di gliadine di tipo α e γ che sono le principali frazioni che innescano la celiachia (CD) in soggetti sensibili. Le riporto, per dovere di scienza, la posizione dell' ISS (Istituto Superiore di Sanità) in proposito alla diatriba riguardante le varietà "antiche" vs "moderne" https://www.issalute.it/index.php/falsi-miti-e-bufale/l-alimentazione/969-i-grani-antichi-contengono-meno-glutine-di-quelli-moderni?fbclid=IwAR3rw0DAhvJ0eQj446LIN2yP8GlqABQLpZD8lrDYRRCtq-GIGv818B7IPmU Per quanto riguarda il glutine, questo si struttura nello stesso identico modo nè più nè meno; possono variare il valore di W e P/L cioè concetti legati a valori reologici per differente variazione genotipica legata alla varietà e biodiversità. Con l'aggiunta del succo di limone può "stringere" maggiormente la maglia glutinica e aumentare in apparenza la tenacità. Nel momento in cui l'acido ascorbico (Vit. C) presente nel succo è esposto all'ossigeno atmosferico, anche solo per pochi minuti, però, si ossida; inoltre, se sottoposto ad un trattamento termico (cottura), mostra la sua totale termolabilità. La farina di fave è stato il primo "miglioratore" enzimatico naturale usato agli esordi per la sua capacità di rafforzare farine deboli. Se si vuole divertire a panificare in casa e fare gli esperimenti ben venga, anzi sarà solo un immenso piacere per lei e una gioia per la sua famiglia, ma se vuole panificare queste farine solo ed esclusivamente per le motivazioni che mi ha detto (ridotto valore di glutine, ecc), con estrema onestà, le dico che allo stato attuale non ci sono abbastanza studi che avvallino questa affermazione. Se da un punto di vista clinico non deve mangiare glutine (non mi esprimo in proposito perché non ho competenza), cerchi cereali che per loro natura non contengano né gliadine né glutenine. Nella speranza di essere stata abbastanza chiara e ringraziandola per essersi rivolto al nostro servizio, le invio i miei più cordiali saluti.
Vedi la risposta
Impasto pizza diretto 70%
Buongiorno, sto provando a fare un impasto per pizza stile napoletana idratata al 68/70%,faccio riposare la massa appena uscita dall'impastatrice in frigo a 4 gradi per circa 5 ore dopodiché faccio le palline e poi subito in frigo fino al giorno dopo(totale circa 24 ore). Ho notato che chiudendo l'impasto a 24 gradi il giorno dopo trovo le palline collassate e non lievitato mentre chiudendolo a 27 le trovo quasi perfette anzi spesso ancora troppo nervose, lei a che temperatura consiglierebbe di finire l'impasto? Inoltre sono necessarie delle pieghe o no dal momento che faccio fare 4/5 ore di massa in frigo? Consiglia un po di olio nell'impasto,può aiutare? Grazie per la gentilezza e per il servizio.
Buongiorno a lei, dal mio personale punto di vista, le palline collassano per eccesso di debolezza da freddo. Se la temperatura a fine impastamento è 24°C deve fare una prima puntata a t.a. per circa 2 ore e non a +4°C per 5 ore poi staglio e frigorifero oppure sempre puntata in massa 2 ore a t.a., successivamente riposo della stessa massa a +4°C per 24 ore e poi staglio ecc. Per una classica indicativamente consiglierei massimo 24°C, mentre le pieghe di rinforzo si fanno solo in casi estremi cioè in caso di eccessiva debolezza. Nel suo caso se lascia l'impasto a t.a. non sono necessarie e comunque si tende sempre ad evitarle perché vuol dire "correggere" un difetto/errore di lavorazione. L'aggiunta e la percentuale di olio evo o di semi è prettamente personale comunque la pizza STG non contiene olio nella massa. Spero di essere stata abbastanza chiara. Grazie a lei per essersi rivolto al nostro servizio di consulenza online e per i complimenti. Cordialità
Vedi la risposta